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Io sono Tempesta: Facciamo che io ero Dino Risi e tu eri Alberto Sordi

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Io sono Tempesta – Trama

Numa Tempesta (Giallini) è un potente uomo d’affari ma, mentre sta avviando la costruzione di un mega-quartiere di gran lusso in Kazakistan, una vecchia storia di evasione fiscale lo porta a dover scontare la pena di un anno ai servizi sociali. Ogni mattina, lasciato il lussuosissimo hotel del quale è proprietario ed unico ospite, si fa portare con la sua Maserati al Centro di accoglienza, gestito da Angela (Danco), una sorta di suora laica che crede davvero nella efficacia della pena alternativa come terapia per i comportamenti antisociali. Per prima cosa lei gli toglie telefonino e passaporto e lo invita ad un atteggiamento empatico verso i poveri che dovrà accudire.

Tra questi c’è Bruno (Germano), ex proprietario di un bar, che, scombussolato dall’abbandono della moglie che lo ha lasciato con un bambino, Nicola (Gheghi), ha perso tutto; lui però non si è perso d’animo e vive la sua attuale condizione di vagabondo con la ottimistica certezza che qualcosa cambierà. Numa, invece, vive malissimo la sua situazione: è in costane conflitto con gli ospiti del Centro e vede l’affare kazako sfumare: il suo socio locale Dimitri (Sung) lo sollecita a trovare investitori ma tutti i suoi amici, a fronte della sua nuova condizione, lo evitano. Inoltre soffre di insonnia perché non riesce a liberarsi del ricordo doloroso del padre (Carlo Bigini) che da quando era piccolissimo gli ha sempre e solo detto: “Sei un coglione!”.

Io sono tempesta
Io sono tempesta (cinema.everyeye.it)

La sua terapia sono gli incontri sessuali bisettimanali con tre prostitute studentesse di psicologia: Radiosa (Simonetta Columbu) e, in coppia, Klea (Klea Marcu) e Mimosa (Sara Deghdak). Una sera che è in giro con Radiosa vede Bruno e Nicola al centro di una rissa per la precedenza nella fila per un Ostello dei Poveri e, sceso dalla macchina, li porta nel suo hotel, dove trascorrono una notte d’incanto – e anche lui, per la prima volta dopo anni, riesce a dormire profondamente. L’indomani sera Numa fa loro mandare, come regalo, due costosissimi pigiami di seta, dai quali Bruno trova la forza di affittare una fatiscente roulotte per dormirci e di chiedere al finanziere dei soldi. Lui gli dà 100 euro a patto che trovi altri 10 ospiti del centro che, per la stessa somma, convincano Angela della forte empatia che è nata nei suoi confronti. Detto fatto e mentre dà loro i soldi aggiunge che, se riusciranno a incrementare la somma del 10%, glie ne darà altrettanti. Nicola, da una vecchia intervista a Numa, elabora un piano: basta che uno di loro – e la scelta cade sul Boccuccia (Franco Boccuccia) – dichiari di aver perso la somma e la divida tra gli altri, che si troveranno possessori dei 10 euro in più richiesti.

Tempesta, fiero dei risultati dei suoi nuovi adepti, li invita tutti a cena da lui. Qui il piccolo Nicola, appreso da Radiosa (che dopo poco va a letto con Bruno) il trauma di Numa e, ricordandosi di un vecchio vagabondo rabbioso che dava in escandescenze quando vedeva una vecchia rivista con l’effige del finanziere, gli dice di essere in grado di fargli ritrovare il padre se lui, in cambio, cederà a Bruno una delle sue sale Bingo; lì per lì, Tempesta non sembra interessato ma si capisce che vorrebbe saperne di più. Naturalmente i rapporti tra Numa e Angela sono ora idilliaci e un giorno lei gli confessa la sua rabbia perché sta per passare una legge sbagliata sui sevizi sociali. Lui, allora, va con lei a Palazzo Chigi e, con una congrua regalia, ottiene che passino gli emendamenti proposti da Angela. Dopo la accompagna a casa e lei, dopo anni di astinenza, ci va a letto. Qualche giorno dopo la morte nel Centro di un vecchio kazako fa scattare in Numa un piano: ottiene da Angela il permesso di andare, con il suo jet privato, insieme a Bruno e agli altri 10 in Kazakistan a seppellire il vecchio nella sua terra, fa ripulire per bene i vagabondi e li presenta a Dimitri e ai suoi soci come potenti investitori europei. Tutto bene ma Angela…

Facciamo che io ero Dino Risi e tu eri Alberto Sordi

Io sono tempesta
Io sono tempesta (cinematografo.it)

Sulla carta Io sono Tempesta parrebbe la solita operazione – da parte di una cinematografia chiusa tra piccole camarille – di una commedia scritta e diretta da autori non particolarmente adatti al genere e in parte è così: uno dei due co-sceneggiatori, Sandro Petraglia non è certo noto come irresistibile umorista (Giulia Calenda, l’altra co-autrice, a qualche commedia ha partecipato) e lo stesso Luchetti ha garbo e, talora, lieve ironia ma non certo l’irridente disinvoltura di chi sa e vuole suscitare ilarità. Non è infatti la scrittura la parte vincente del film: il meccanismo di partenza – in parte ispirato alle vicende di Berlusconi – si avviluppa in racconto nel quale tutto è un po’ “telefonato” e, spesso, moralistico (in una vera, vecchia commedia l’imbroglio finale ai kazaki sarebbe stato molto più partecipato e divertente e, probabilmente, sarebbe andato a buon fine); quello che funziona, invece – sicuramente in gran parte per merito della regia – è la chimica degli e tra gli attori: non solo Giallini e Germano trovano una grande intesa (in alcuni momenti mi hanno ricordato Vittorio Gassman e Nino Manfredi nello splendido Il gaucho di Dino Risi) e la Danco regala spassosa maniacalità e, al fondo, disumanità all’insopportabile Angela ma anche i caratteristi (alcuni – pare – presi davvero tra i diseredati di un centro di accoglienza) sfruttano le occasioni di sorriso del copione. Nei film della gloriosa commedia italiana, era facile osservare come le figure di affaristi, un po’ cialtroni e un po’ avventurieri, erano ritagliate sugli unici imprenditori che quegli autori conoscevano: i produttori, visti sì in negativo ma con un fondo di affettuosità. La scelta di Giallini, in fondo, recupera quella modalità e Io sono tempesta si lascia seguire con qualche sussulto di breve ma piacevole risatina. Certo il perfido, amabilissimo Sordi, torturatore di vecchiette in Piccola posta, era tutt’altra cosa ma evidentemente non ce lo meritiamo più Alberto Sordi (vero Moretti?).


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