Il 5 maggio, a Calice al Cornoviglio, in provincia di La Spezia, mi unisco, in una sala gremita del Castello Doria-Malaspina, a un pubblico fatto di amici e conoscenti, per ricordare una persona, un collega, un amico caro, che oggi continua il suo viaggio da lontano, ma tanto vicino a noi, con un libro che resterà a futura memoria Il nostro Almo, Gli amici raccontano, di Maria Gabriella Carbonetto e Daniela Scattina.
Almo Paita, persona per bene, di un tempo, con ideali e valori intatti, con una dirittura morale assoluta, viaggiava sicuro portandosi dietro l’amore e una grande tenerezza per Marisa e i suoi figli Andrea e Massimo, la nuora Alessia e le nipotine da un lato e l’attaccamento all’Azienda Rai dall’altro. Dovunque il suo sguardo si posasse, dispensava attenzione, premura per gli amici e per le persone che incontrava lungo il cammino.
Le nostre stanze, al quinto piano di Viale Mazzini n. 14, nella parte che affacciava nel giardino interno, lungo il corridoio che dava su Via Pasubio, erano attaccate. Io lavoravo nella segreteria di Giovanni Leto prima e di Mario Raimondo poi, ero allora responsabile della segreteria organizzativa e Almo si occupava di programmi.
Il mio viaggio in Rai, unica Azienda che aveva attirato la mia attenzione, era proprio la Rai, sentivo che lì dovevo andare, sentivo che lì si sarebbe svolta la mia vita, professionale e amicale, in una crescita personale foriera di cose belle. Guardavo allora i miei colleghi con grande ammirazione e riguardo, ascoltavo moltissimo, le parole solo quelle necessarie, la vicinanza con i colleghi preziosa per le sollecitazioni che mi arrivavano. E il contatto con Almo mi faceva ritrovare un mondo che avevo lasciato, ma che avrei sempre ritrovato in un posto privilegiato del mio cuore. Così Calice al Cornoviglio, così Pratovecchio, le radici, l’infanzia, un mondo fatto di natura, prodotti genuini, affetti semplici e duraturi, un mondo da non disperdere, ma da ritrovare intatto nel lungo percorso della vita. Di questo parlavamo nei pochi momenti liberi, dopo il pranzo a mensa ci confrontavamo su un percorso simile, venivamo tutti e due dalla campagna e avevamo affrontato, con coraggio e grande voglia di fare, un mondo che non ci apparteneva, ma che sarebbe diventato il nostro mondo con una radice comune: la scrittura. Lì tendevamo, con una determinazione senza precedenti, con una voglia di esprimere sentimenti e storie forte quanto determinata. Il nostro procedere è stato lungo e in salita, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I libri scritti e pubblicati lo dimostrano, pur per strade diverse e preparazioni altrettanto diverse. La Rai è stata il trampolino di lancio, per coltivare amicizie che ci hanno guidato, suggerito le svolte, hanno illuminato il cammino, la Rai è stata il faro che ha indicato la direzione.
La mitica Struttura di Programmazione 4 di Raidue, che si occupava allora di fiction, acquisto e programmazione di film e telefilm, musica operistica, sinfonica e da camera, ma anche di inchieste e film, ci ha accolto con i nostri sogni e la gran voglia di fare, instancabili lavoratori alle prese con un’Azienda non sempre semplice, ma che è stata la nostra Azienda, da raggiungere e amare, aprendosi al dono ogni giorno, regalando a entrambi la gioia di una vita piena e ricca di eventi, sorprese, un andare avanti da inventare e costruire in collaborazione e accompagnati da persone speciali e ai vertici della vita culturale italiana. I colleghi: Giancarlo Governi, Fiammetta Lusignoli, Francesco Tarquini, Giovanni Bormioli, Idalberto Fei, che seguirono Giovanni Leto, il nostro Capo Struttura. Si aggiunsero dalle ex Direzioni dello Spettacolo e dei Culturali Luciana Catalani, Fiorenza Fiorentino, Giusi Robilotta, Graziella Civiletti, Giovannella Gaipa, Gigi De Santis, Luciana Ferrero, Anna Amendola, Paola Scarpa, Nedo Ivaldi, Lucia De Laurentiis. Letizia Palma si occupò del primo sceneggiato messo in cantiere dalla nuova Struttura, Madame Bovary. Si aggiunsero Luciana Tissi, che proveniva dall’Ufficio Stampa, Lida Berardi e Vieri Razzini arrivati dal Centro di Produzione TV di Roma. Per il settore Cinema la Struttura si avvalse della presenza di Pietro Pintus, stimato critico cinematografico, per i programmi musicali Cesare Mazzonis, che in seguito avrebbe avuto incarichi importanti, come responsabile dell’orchestra sinfonica di Roma e poi Direttore Artistico del Teatro alla Scala. Fu sostituito dai Maestri Lear Maestosi e Alberto Rocchegiani. L’organico si completava con Alberto Altieri, coordinatore e con me nella segreteria.
Vivevamo nella Rete condotta da Massimo Fichera, la Rete che, attraverso i suoi programmi, poteva rappresentare realtà diverse, realtà che, oltre a informare, divertire, educare, potevano anche servire a criticare e discutere. Nasce nel 1976, punto di riferimento della sinistra, dove si cerca di unire la qualità dei prodotti realizzati con il consento popolare, tenendo presenti innovazioni, sperimentazioni, tradizioni.
Nella Struttura di Programmazione 4 prevaleva il lavoro di squadra. Il Capo Struttura, Giovanni Leto, persona e dirigente attento alla vita aziendale, ha legato il suo nome a momenti cruciali e a battaglie condotte per la Riforma – a seguito dell’emanazione della legge n. 103 del 14 aprile 1975, dove vengono introdotte nuove norme in materia di diffusione radiotelevisiva, che riguardavano l’indipendenza, obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali – e al Libro Bianco realizzato dall’Associazione Programmisti Registi Radiotelevisivi, nato con l’intento di combattere il progressivo snaturamento di quello che dovrebbe essere un servizio pubblico e dell’ulteriore restringersi di ogni spazio di democrazia interna.
Erano gli anni in cui ogni funzionario poteva raccogliere e proporre proprie e altrui proposte, che venivano poi esaminate nelle frequenti riunioni di Struttura. Un lavoro corale dove tutti potevano interagire e venir gratificati. Il lavoro veniva affrontato con grande entusiasmo da tutti i componenti.
A Giovanni Leto succede Mario Raimondo, uomo di teatro, proveniva dai programmi sperimentali, e dalla Terza rete. Uomo colto, raffinato, avrà competenza anche sul varietà.
Almo Paita, in quegli anni, ha avuto la possibilità di ideare e curare la realizzazione di un programma, andato in onda in seconda serata con indici di ascolto e di gradimento di tutto rispetto, Poeti e Paesi. E ha legato, tra gli altri, il suo nome allo sceneggiato e al libro Il Generale Garibaldi.
Negli anni ‘80 in cui comincia a esaurirsi il ciclo del dopo Riforma e il monopolio vacilla per lasciare il passo alla Tv commerciale con la nascita delle TV private.
Erano i tempi in cui potevi incontrare nei corridoi del quarto e quinto piano di Viale Mazzini, i due piani ospitavano Raiuno e Raidue, autori diventati nel tempo famosi e che hanno lasciato il segno nella letteratura del secondo Novecento e oltre e del calibro di Andrea Camilleri, Renzo Rosso, Raffaele La Capria. In quei due piani sono passati personaggi, nomi importanti, ricordo Benigni alle prime armi con Onda libera, più tardi Arbore alle prese con Quelli della notte e tanti altri. Abbiamo potuto avvicinare personaggi, vivere retroscena, battaglie, successi, ma anche rivalità, polemiche, progetti che non si sono realizzati. L’Azienda è stata ed è una finestra aperta sulla politica, sulla cronaca, la società, la cultura e noi abbiamo sempre avuto la sensazione di vivere la realtà del nostro Paese con qualche anticipo rispetto ai tempi.
Almo ed io venivamo entrambi da responsabilità amministrative, da impegni che riguardavano il personale, contratti e budget. Infine la creatività ha vinto la sua lunga battaglia e ci ha trasportato in un mondo di realtà e immaginazione insieme, con la forza che deriva dall’attaccamento alla terra, alle radici, alla memoria che non va dispersa, a un mondo che riappare per dare consistenza al vissuto. Ha vinto il desiderio di riscatto e la voglia incontrollata di trovare il proprio centro, la propria strada. E questo ha voluto dire raggiungere e avere tra le mani carta stampata, libri che viaggiano, da seguire come figli, da donare, da presentare, da far conoscere, per depositare da qualche parte memorie preziose e vite dedicate, con uguale forza, alla terra e alla fantasia. Storie, nel caso di Almo, prese a modello e ripescate per aggiungere preziosità al ricordo di personaggi che hanno fatto la storia, e la vita di uomini illustri. Per me, più semplicemente, ricorrendo alla vita di tutti i giorni, a studiare l’animo umano, a trarre vantaggio da quel tanto ascoltare, fino a trovare le parole giuste da scrivere e soprattutto trovare la voce, tagliata fuori per tanti anni da una città meravigliosa e allo stesso tempo lontana e da raggiungere per potersene appropriare. Le storie di Almo hanno il pregio di farci riappropriare del valore delle nostre radici e contribuire a rinnovare e rinsaldare quell’orgoglio e quel senso di appartenenza alla nostra comunità … Quel signore dai modi gentili e dalla profonda umanità, aveva una particolare forma di sete, un’esigenza quasi fisica oltre che spirituale. Quella sua necessità poteva trovare ristoro solo avvicinandosi alla fonte del sapere ma, quell’acqua, Almo, sentiva di poterla e doverla condividere con il suo prossimo (Daniela Scattina).
E’ Almo che si racconta: Avevo compreso che le mie radici non mi consentivano di pormi sullo stesso piano di colleghi cresciuti in famiglie più agiate, dove i libri erano strumenti diffusi. Ma quella era la mia nuova sfida. La scrittura ci ha salvato la vita! La scrittura ci ha allontanato dalle brutture che inevitabilmente ti piombano addosso e dalle quali puoi allontanarti per trovare rifugio nel tuo piccolo computer, che ti segue ovunque, con le storie, le tue e quelle degli altri. Anche in questo c’è una vicinanza con Almo. Leggo nella presentazione di Mario Scampelli al libro Il nostro Almo, Gli amici raccontano, di Maria Gabriella Carbonetto e Daniela Scattina: “Con una forma lineare, chiara e di facilissima lettura, specchio fedele del suo garbato entusiasmo di testimone della società Calicese, Almo ci ha raccontato come eravamo e come, con quel poco che avevamo, siamo riusciti a fare cose mirabolanti… Almo è sempre riuscito a portare le emozioni e le passioni nei suoi libri che oggi, leggendoli, ce le restituiscono ancora più forti quali fili della trama del nostro tessuto identitario di comunità.
Caro Almo, oggi mi avvicino a te, in punta di piedi e con rispetto, riconoscendo il tuo valore di uomo che ha dedicato la sua vita alla crescita personale e a quella della tua famiglia, donando a noi tutti uno spaccato di storia, la grande storia, ma anche la piccola storia, quella che ha avvicinato più generazioni, ha messo a fuoco grandi personaggi, ma anche le traversie di un paese e le vite altrimenti sconosciute dei suoi abitanti. A futura memoria. “Non solo ascoltatori, ma partecipi attori, testimoni di vicende che li hanno riguardati (Maria Gabriella Carbonetto).
Un uomo gentile con tutti, cortese, attento a chi gli passa accanto, con garbo, colto e intelligente, ha saputo portare in alto la vita di Calice al Cornoviglio, riservando dignità a storie di tradizione popolare. Saggista e narratore, abituato allo studio con dedizione e serietà, impegnato, ma anche ironico, un’ironia dolce, che non offende mai, ma che gli permetterà di confrontarsi anche con altri scrittori. Con una sensibilità e profondità fuori dal comune, sapeva trasmettere una serena saggezza.
Faccio mie le parole di Enrico Colombo: Ho imparato tanto dalla nostra amicizia, ho imparato quanto sia importante l’umiltà, la lealtà, ma sopra ogni altro argomento quanta bellezza poetica ci sia in noi, se riusciamo a conservare i misteri, le favole, la realtà familiare, che sono le solide basi per affrontare le avventure della vita, con la consapevolezza che ogni traguardo deve essere sofferto e conquistato.
L’interesse umano, letterario, storico e artistico condiviso con Almo permette oggi di gettare un seme per divulgare, fra i giovani, la cultura e la storia di vite vissute, per riappropriarsi del valore delle nostre radici, ritrovare terre ricche di storie e di bellezze naturali, suggestive, luoghi che ancora oggi conservano, quasi intatti, i segni dei tempi e riconducono a un’identità paesaggistica unica al mondo. Almo ci ha insegnato, grazie alla semplicità e al modo di fare spontaneo e riservato, e ha espresso la sua nostalgia e l’intatto amore per la sua terra attraverso il libro La vita quotidiana a Calice ai tempi di mio nonno: Il libro vuole essere anche una testimonianza e un aiuto a tutti quelli che si impegnano perché la memoria di quell’umile civiltà non sia travolta dal consumismo imperante. E mi riferisco in particolare a chi, con grande impegno e passione, si adopera per tenere vive le nostre tradizioni e la nostra cultura.
Mi ritrovo pienamente nelle parole di Antonio Bruni, che faccio mie: Almo Paita potrebbe scrivere la sua storia personale (un libro autobiografico), quella di un uomo che ha voluto mutare il suo destino e la sua vita, puntando sullo studio e conducendo bene un ruolo professionale pur diverso dalle sue aspirazioni: preferisce narrare le vite degli altri, che hanno però cambiato la sua.
Ci ha lasciato soprattutto l’esempio di una vita costruita giorno dopo giorno, con serietà e sacrificio, rispetto degli altri, orgoglio delle origini.
Ho condiviso un pomeriggio all’insegna dei ricordi, legati al passato, che ritrovo intatto nei figli di Almo e ai quali si uniscono i tanti amici che sono venuti ad omaggiarlo. Un pomeriggio intenso, ricco di affettuosità e di attenzione verso qualcuno che è partito dai monti, da una natura incontaminata, per percorrere viottoli e strade che hanno raggiunto, dopo tanto correre, il variegato mondo della città e della scrittura.
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