Pier Vittorio Tondelli (1955 – 1991) è stato indubbiamente una delle personalità più controverse del panorama letterario della seconda metà del Novecento. Il suo esordio artistico, con la pubblicazione di “Altri libertini” nel 1980, è soltanto il preludio di una carriera votata interamente alla rappresentazione degli amori, delle passioni e delle contraddizioni di un’intera generazione.
Il suo ultimo romanzo, “Camere separate” edito da Bompiani – Classici contemporanei(ad link), altro non è che un testamento spirituale dell’autore, ennesima vittima di una piaga dilagante, tra anni Ottanta e Novanta, chiamata AIDS.
Il romanzo, diviso in “momenti”, trova nella vita privata di Leo, ormai trentenne, il suo fulcro narrativo.
Il protagonista, omosessuale dichiarato, incontra un musicista tedesco di nome Thomas, nel quale scorge uno spirito affine al suo, seppur nelle conclamate diversità presenti tra loro. Tali diversità, tuttavia, non li dividono, bensì li uniscono in un abbraccio di Eros e Thanatos capace di rendere immortali anche gli amori più ordinari.
Il tema della separazione, della morte e della solitudine costituisce un leitmotiv narrativo che affonda le sue radici nell’antichità classica – il mito di Orfeo ed Euridice, per citare uno degli aneddoti più celebri – passando per il Medioevo – impossibile dimenticare l’amore contrastato del bel Tristano per la crudele Isotta -, arrivando ai giorni nostri.
Leggere, quindi, un romanzo con il medesimo tema appare al lettore decisamente poco stimolante e lo porta a conclusioni affrettate (fin troppo!): il romanzo di Tondelli è superfluo, ha un retrogusto amarognolo di “già sentito”, “superato”, “vecchio” – tuonerebbe il Grande Pubblico.
Sì tratta solo di un’opera da leggere in ambienti politically correct, pregni di ideali apparentemente utopici come uguaglianza e scardinamento di distinguo operati sulla base di discriminazioni sociali, sessuali e politiche. Qualcosa di inarrivabile, che potremmo etichettare, usando un aggettivo in voga nell’ultimo periodo, come “buonista”.
Se si analizza la questione, molto semplicisticamente, da questo punto di vista, tanto vale non valutare nemmeno la possibilità di leggere il romanzo oggetto di questa recensione, e, perché no, anche la recensione in sé.
La domanda che dobbiamo porci è la seguente: cosa ci deve spingere a spendere il nostro tempo con Leo e Thomas.
La risposta risiede tanto nei dati statistici, che vedono un incremento allarmante di atti omofobi, nonostante ci troviamo nel ventunesimo secolo, quanto nella portata emozionale che contraddistingue le vicende dei due protagonisti. Il loro essere così ordinari li rende unici; è un sentimento che potrebbe riguardare ognuno di noi, indipendentemente dalla propria sessualità, in qualsiasi momento, in qualsiasi tempo. L’invito di Tondelli è quello di scavare dentro di noi, di accogliere quella “Parola Intima” di blochiana memoria e di avvicinarsi al nostro Sé, traslando le nostre paure nell’altro, nella persona amata, custode amorevole delle nostre gioie ed eccellente deterrente dei nostri timori.
Il romanzo di Pier Vittorio Tondelli è la messa per iscritto di un amore carnalmente non più vivibile, ma ancora ben radicato nella mente di chi lo ha provato e lo ha saputo, nel proprio piccolo, rendere unico ed imperituro. Grazie alla memoria, al ricordo della persona amata, sapremo sempre affrontare la vita, imparando ad apprezzarne anche le insidie e i risolti angusti; questo è il barlume di speranza che emerge nelle malinconiche pagine di un romanzo scritto da un autore troppo spesso trascurato dalle antologie scolastiche.
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