Letteratura italiana

Dante Alighieri scrittore, biografia

Dante Alighieri è uno degli scrittori più letti e tradotti del panorama letterario mondiale, è considerato il padre della lingua italiana ed è il più rappresentativo autore della nostra tradizione letteraria. Universalmente conosciuto come l’autore della più importante opera narrativa medievale, la Divina commedia, è diventato il riferimento di tutta la letteratura successiva.

Dante Alighieri nasce nella primavera del 1265 da Alighiero da Bellincione e Bella degli Abati, famiglia che appartiene alla piccola nobiltà guelfa.

Della sua infanzia conosciamo poco: sappiamo che

  • adora sua madre,
  • è destinato a sposare Gemma Donati,
  • a nove anni incontra Beatrice e se ne innamora.

Il maestro di Dante Alighieri è Brunetto Latini, autore famoso in tutta Europa, che ha scritto opere in francese antico, in lingua d’oïl, e in volgare italiano.

Poeta e uomo di legge, insegna a Dante non solo l’uso del ben parlare sia per l’arte che per la politica, ma anche quali sono i valori necessari per essere un buon politico: rettitudine, etica, lealtà.

Quando Dante Alighieri ha 18 anni, incontra nuovamente Beatrice, resta folgorato dalla sua bellezza e se ne innamora perdutamente.

Dante Alighieri vive nella Firenze comunale, centro culturale e finanziario dell’epoca:

  • qui fiorisce la poesia del dolce Stilnovo e quella comico-realistica,
  • la moneta di Firenze, il fiorino è considerata la valuta più pregiata d’Europa.

Dante Alighieri cresce nell’ambiente poetico, conosce molti letterati e sperimenta diversi livelli di poesia. Guido Cavalcanti, maggior esponente dello stilnovo è il più serio del gruppo: a lui dedica il celebre sonetto “Guido i’ vorrei”. Forese Donati è l’amico a cui riserva una serie di sonetti giocosi: i due si prendono in giro in una tenzone poetica dai toni accesi. Cecco Angiolieri, maggior esponente della poesia giocosa che imita lo stilnovo nella forma, ma esalta i vizi invece che le virtù.

In quegli anni il suo cuore è rapito da Beatrice e quando lei, nel 1290 muore, il poeta si dispera. Lui aveva amato da lontano quella donna, ne aveva atteso gli sguardi e bramato i sorrisi. E lei non c’era più.

Dante Alighieri, prostrato dal dolore, decide di cercare un senso nella filosofia. Per trenta mesi ripensa alla sua vita, alla luce dell’amore di Beatrice e realizza la Vita nova, la più importante delle sue opere giovanili. L’opera racconta la sua vita illuminata da quell’amore che lo rende un uomo nuovo, virtuoso, migliore.

La carriera politica di Dante Alighieri

Il 1295 è un anno che segna un deciso cambiamento nella vita di Dante. Negli ultimi anni infatti, nel tentativo di pacificare le relazioni all’interno del bellicoso comune di Firenze, nessun nobile poteva partecipare alla vita politica del comune. Dante Alighieri, pur essendo della piccola nobiltà, era comunque escluso. Ma in quell’anno il Comune di Firenze decide che anche gli esponenti dell’aristocrazia possono essere ammessi alle cariche pubbliche, a patto che siano associati ad una corporazione.

Dante Alighieri non aspetta altro: da sempre voleva dare il suo contributo alla gestione del suo Comune e finalmente può farlo. Cerca quindi una corporazione a cui potersi iscrivere: i medici e gli speziali, persone per cui la parola scritta è importante, lo accolgono tra i loro adepti come “poeta” e Dante può iniziare la sua carriera politica.

Le sue capacità dialettiche e politiche sono notevoli e prima entra nel Consiglio del Popolo, quindi nel Consiglio dei Savi, organo preposto all’elezione dei Priori, massima carica del Comune. Nel 1300 ottiene addirittura la carica di Priore per un bimestre, incarico di assoluto prestigio.

Il comune fiorentino era decisamente instabile: i suoi abitanti trovavano sempre nuovi motivi per entrare in conflitto tra loro. Per anni il partito guelfo e quello ghibellino si erano scontrati in battaglie sanguinose. Dopo la sconfitta dei ghibellini, i guelfi non erano riusciti a rimanere coesi e si erano divisi in due fazioni, i bianchi e i neri:

  • i guelfi bianchi erano aperti alle forze borghesi e popolari,
  • i guelfi neri rappresentavano le famiglie magnatizie.

Dante si schiera dalla parte dei bianchi, fazione che fa riferimento alla famiglia Cerchi e che non vuole che il papa intervenga nelle questioni amministrative di Firenze. I neri invece, capitanati dalla famiglia Donati, famiglia a cui appartiene Gemma, moglie di Dante, hanno interessi economici comuni con il papato. Sostengono quindi e condividono la politica papale.

Nel periodo in cui Dante è priore spesso esplodono veri e propri conflitti tra esponenti delle diverse fazioni, tanto che i priori decidono di esiliare i cittadini più animosi. Un giorno, anche il suo amico fraterno Guido Cavalcanti prende parte ad uno scontro sanguinoso e Dante è costretto, suo malgrado, ad esiliarlo. Questa scelta dolorosa rivela quanto Dante sia stato inflessibile e retto nell’esercizio del suo incarico.

Nel 1301 i bianchi governano il comune, Dante Alighieri è ancora nel Consiglio dei Cento e le tensioni con la parte nera sono fortissime.
L’amministrazione comunale decide allora di fare un’azione di mediazione diplomatica: inviare una delegazione da papa Bonifacio VIII per cercare di trovare un accordo e placare le tensioni. Anche Dante Alighieri viene inviato a Roma.

Ma quando loro si trovano a Roma, il papa, in accordo con i neri, invia a Firenze un contingente militare, alla guida di Carlo di Valois, fratello del Re di Francia. I bianchi che sono a Firenze vengono cacciati e il potere viene assunto dai neri: un perfetto colpo di stato è stato messo a segno.

In pochissimo, giunge a Roma la notizia che il comune di Firenze è in mano ai neri e che i bianchi sono accusati di corruzione.

Dante Alighieri resta esterrefatto: lui è sempre stato onesto e retto, leale e rispettoso delle regole. Sa bene che le accuse mosse contro di lui sono false, e lo sanno anche i suoi antagonisti. Per questo il poeta non accetta di tornare a Firenze: teme un governo tanto corrotto e violento e non intende farsi umiliare da quegli usurpatori.

Ma, da quel giorno, Dante Alighieri non farà più ritorno nella sua amata città e inizia così un lungo esilio, che terminerà con la morte.

L’esilio di Dante Alighieri

Per alcuni anni Dante prende parte ai tentativi degli esuli bianchi di rientrare in Firenze, ma lui non è disposto né a chiedere scusa, né a pagare ammende per colpe non commesse. E così, qualche anno dopo Dante viene condannato in contumacia alla confisca dei benei e a morte; poi la condanna viene estesa anche ai suoi figli.

Gli ultimi vent’anni della sua vita sono quelli di un uomo, un intellettuale, molto apprezzato nel mondo, ospitato e onorato nei comuni e nelle città della penisola: viaggi, incarichi diplomatici, soggiorni presso i più importanti signori del Nord Italia, si alternano alla scrittura. Inizia molte opere che però vengono interrotte quando Dante Alighieri inizia a scrivere la Divina Commedia, l’opera che lo rende immortale.

L’ultima città che ha l’onore di ospitare Dante Alighieri è Ravenna dove offre i suoi servigi a Guido Novello da Polenta. Nel 1321 mentre torna da Venezia, passando per le valli di Comacchio, viene colpito dalla malaria. Riesce a rientrare a Ravenna ma muore il 14 settembre.

Periodo storico e letterario

Dante Alighieri vive in pieno l’età comunale, un periodo ricco di risorse e di contraddizioni.

Nel Basso Medioevo, tra XI e XII secolo si sviluppano i Comuni. In molte città del centro e Nord Italia e in alcune del Nord Europa, si assiste allo sviluppo di una nuova forma di governo. Accanto alle tre classi sociali della tradizione, clero, nobiltà e popolo lavoratore, si affianca un un nuovo ceto sociale: la borghesia.

Mercanti e artigiani organizzano le loro attività e le loro botteghe nei borghi costruiti a ridosso delle città: ben presto le attività si ampliano e nuove figure professionali, avvocati, notai, banchieri, vanno ad ingrandire questi quartieri. Un po’ alla volta, la borghesia diventa sempre più influente tanto da essere coinvolta nella gestione amministrativa della città.

Nel XII secolo molte città decidono di governarsi in autonomia per difendere la propria libertà economica. Così ha inizio l’esperienza del Comune in cui un gruppo di cittadini firmano una coniuratio, un giuramento collettivo in virtù del quale i congiurati, coloro cioè che avevano firmato tale patto, si assumono il compito di governare e amministrare la città.

L’intento del Comune è quello di slegarsi dalle autorità superiori come feudatari, sovrani o papi. Ma i due poteri medievali, il papato e l’impero, sono refrattari a lasciare ai comuni tanta autonomia. In occasione dell’elezione di un imperatore nella prima metà del XII secolo si vengono a creare due partiti: i guelfi e i ghibellini:

  • i guelfi ritengono che il maggior potere sulla terra sia rappresentato dal papato;
  • i ghibellini sostengono la supremazia dell’imperatore sul papa.

Ma oltre alle lotte intestine, la società del Basso Medioevo vede un grande sviluppo culturale e artistico.

  • Duccio di Boninsegna, è il maggior esponente della pittura senese e le sue Madonne, sedute in trono, emergono su sfondi dorati di tradizione bizantina.
  • L’altro grande pittore, considerato il più grande del Medioevo è Giotto di Bondone, che Dante conosce a Padova e col quale stringe amicizia, mentre è occupato nella decorazione della Cappella degli Scrovegni.

Le opere più importanti di Dante Alighieri

La produzione letteraria di Dante Alighieri è varia e nutrita. Le sue opere sono sia in latino che in volgare perché lui intende attestare che la lingua parlata dal volgo, il volgare, è ormai tanto evoluta da piegarsi ad ogni esigenza di forma e contenuto.

La Vita Nova

Tra le opere giovanili la Vita Nova è la prima opera attribuita al poeta fiorentino, scritta tra il 1293 e il 1295, dopo la morte di Beatrice nel 1290. Si tratta di un prosimetro, opera in cui alterna prosa e poesia.

La cornice narrativa è strutturata in 42 capitoli dove trovano spazio 31 compinimenti poetici risalenti anche agli anni precedenti e che qui trovano una propria collocazione. Il sonetto più famoso è Tanto gentile e tanto onesta pare in cui presenta la bellezza e l’umiltà della bella Beatrice.

Dopo la morte di Beatrice, Dante ricostruisce, a posteriori, la storia di questo grande amore, dai primi incontri e dai primi sorrisi fino alla morte di Beatrice. Se prima il poeta ci parla della relazione tra Dante e Beatrice, dopo la morte di lei, la relazione è quella tra il poeta e l’anima dell’amata.

L’opera segue i canoni dettati dallo stilnovo, dove l’amore ha il potere di elevare lo spirito dell’innamorato. L’amata è una donna di natura angelica e sarà proprio lei, Beatrice, a portare il poeta in Paradiso nella sua opera più importante.

Il Convivio

Anche quest’opera, scritta tra il 1303 e il 1307 e rimasta incompiuta, è scritta in forma di prosimetro. Il testo, nelle intenzioni dell’autore prevedeva di svilupparsi in quindici capitoli in cui avrebbe alternato canzoni a tema leggero con commenti che avevano scopo educativo e dottrinale.

Dante Alighieri voleva contribuire alla formazione morale delle genti e alla diffusione del sapere. Il testo, di natura filosofica, prevedeva quindici capitoli, ma l’opera venne interrotta, probabilmente perché aveva iniziato a scrivere la Divina Commedia.

Il poeta sceglie questo titolo perché immagina di invitare i suoi lettori alla mensa del sapere e della conoscenza: immagina che il sapere possa nutrire l’anima dei suoi commensali. Per il Convivio Dante sceglie quindi la lingua volgare perché vuol divulgare il sapere anche con chi non conosce il latino, come gli esponenti della borghesia.

Il De vulgari eloquentia

Anche il De vulgari eloquentia resta incompiuto. Scritto in latino, tra il 1303 e il 1305, è destinato ad un pubblico dotto.

L’intenzione del poeta è quella di spiegare quanto la lingua volgare sia ormai in grado di veicolare qualsiasi tipo di contenuto; Dante Alighieri mostra la bellezza, la raffinatezza e la duttilità del volgare. A quel tempo qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che lui scrivesse in volgare perchè non conosceva il latino.

Quale modo migliore di difendersi quindi che scrivere un intero trattato in un latino impeccabile per dimostrare ai dotti del suo tempo le sue tesi? Ne emerge un trattato articolato in cui parla di stili e di metrica:

  • definisce lo stile tragico come il più elevato e lo stile comico come il più umile;
  • teorizza la canzone di endecasillabi come la metrica più adatta allo stile elevato;
  • analizza i dialetti italiani dei vari comuni e individua nel fiorentino il dialetto più adatto a diventare la nuovas lingua letteraria.

I libri previsti in fase progettuale erano quattro, ma Dante Alighieri si ferma a metà del secondo capitolo.

Il De Monarchia e le Epistole

Gli anni dell’esilio lo vedono impegnato anche nella stesura del De Monarchia, un trattato a tema politico in cui l’autore affronta la relazione tra il potere del papato e quello dell’imperatore, tra il potere spirituale e quello temporale. Anche questo trattato è scritto in latino, lingua condivisa da tutte le autorità dell’epoca.

Nel tempo di Dante, papa e imperatore si contendevano il primato del potere sulla terra: entrambi volevano fosse loro riconosciuta la supremazia sull’altro. Dante è un guelfo moderato che riconosce il potere papale, ma che ne vuole limitare le ingerenza in campo amministrativo e politico.

Il poeta ritiene che entrambi i potere abbiano uguale dignità e che debbano coesistere pacificamente. Riconosce che l’imperatore debba mostrare comunque particolare reverentia, rispetto, nei confronti del capo della Chiesa, come quella che ogni figlio deve al proprio genitore.

Il poeta ritiene che il papato abbia innegabile superiorità morale sull’impero, ma non riconosce al papa la supremazia politica.

Dante sostiene quidi la teoria dei due soli per la quale entrambi hanno pari dignità ma competenze diverse:

  • l’impero deve operare affinché l’uomo possa vivere sulla terra una vita dignitosa;
  • il papato invece deve garantire l’accesso alla felicità eterna dell’uomo.

Tredici sono le lettere, le Epistole, che Dante Alighieri ha scritto in latino e che sono arrivate a noi. Sono molti i temi trattati: alcune affrontano temi di tipo politico, altre invece trattano di argomenti personali.

Si tratta di lettere che Dante scrive ad amici, familiari o personaggi più o meno importanti del suo tempo. Tra le più famose troviamo quella scritta all’imperatore Arrigo VII, quella scritta ai cardinali italiani e quella scriita al signore di Verona, Cangrande della Scala.

La Divina Commedia

La Comedìa è scritta interamente da Dante Alighieri durante l’esilio. Si tratta della più importante opera letteraria italiana e una delle opere più influenti che sia stata mai scritta.

La sua definizione dell’oltetomba cristiano ha condizionato tutta la letteratura mondiale: ogni autore, scultore, pittore, regista che ha voluto parlare dell’aldilà, si è confrontato col poema dantesco.

Approfondiremo l’opera in un articolo successivo dedicato interamente al poema. Qui facciamo solo alcuni accenni.

L’opera è scritta in endecasillabi, in terza rima e in lingua volgare.

Sono cento i canti di cui è costituita divisi in tre cantiche: Inferno Purgatorio e Paradiso. Il primo canto è introduttivo di tutto il poema e ogni cantica si snoda lungo 33 canti.

Quello che Dante ci presenta è un viaggio immaginario attraverso questi tre regni.

Il poeta racconta di essersi perso in una selva oscusa e di non riuscire a trovare la via d’uscita. Quando tre belve feroci lo minacciano, gli viene in soccorso Virgilio, sommo poeta della latinità, autore dell’Eneide, che si offre di accompagnarlo verso la via della salvezza.

Il viaggio che viene proposto però è impegnativo, difficile, quasi terribile. Dante dovrà essere disposto a vedere il dramma dei dannati destinati all’inferno, poi dovrà pentirsi dei suoi peccati in purgatorio e solo dopo potrà arrivare alla beatitudine e alla pace del paradiso.

Dopo qualche tentennamento il poeta accetta di affrontare il terribile viaggio e i due partono.

Virgilio è amico e padre, maestro e confidente, e lo accompagna fino al purgatorio; poi lo lascerà nelle mani di Beatrice, la donna da lui tanto amata che lo porterà fino al cospetto di Dio.

Tutta l’opera dantesca va letta almeno a due livelli diversi.

  • Il primo è quello letterale in cui il poeta viaggia in questi tre regni straordinari: possiamo dire che la Divina Commedia sia il primo fantasy che sia stato scritto.
  • Il secondo è quello allegorico: ogni elemento narrato può essere interpretato a livell simbolico.

Il viaggio è quindi un percorso di elevazione morale dal peccato alla salvezza; la selva oscura rappresenta un momenti di crisi esistenziale, le tre bestie feroci sono allegoria dei peccati che stanno portando l’uomo Dante e il popolo italiano alla dannazione.

Il titolo che lui aveva dato alla sua opera era Comedìa, perché il poema inizia con una situazione angosciosa e si conclude con il lieto fine. Inoltre lo stile usato è, almeno nella prima cantica, quello basso tipico della commedia. Poi Giovanni Boccaccio, primo commentatore ufficiale del poema, aggiunge l’aggettivo divina per chiarire l’argomento trattato: da allora il titolo è per tutti Divina Commedia.

Il pensiero e la poetica di Dante Alighieri

Dante è il più grande intellettuale della sua epoca e ne è consapevole. Forse è questa sua consapevolezza che lo rende superbo e arrogante. Infatti i suoi contemporanei lo descrivono come uomo altezzoso e antipatico. Gli riconoscono però la sua grandezza.

Dante Alighieri aveva studiato tutto quello che era possibile: filosofia e teologia, astronomia e astrologia, ma anche anatomia e fisica. Tutto questo sapere è generosamente raccolto nel poema. Per questo la Divina Commedia è diventata famosa: perché racconta la vita, le abitudine, le credenze e le superstizioni dell’uomo medievale.

L’autore inoltre vuole condividere il suo sapere con il popolo, perché crede che l’uomo, figlio di Dio, debba elevarsi al di sopra della brutalità: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza” fa dire a Ulisse nella sua “orazion piciola” pronunciata per incoraggiare la sua ciurma e spingerla verso la loro ultima grande impresa. Per questo scrive opere destinate a far acquisire nuova conscenza all’uomo del suo tempo.

Dante Alighieri testimonia il potere e la forza dell’amore, amore che è la forza che muove tutte le cose e che riesce a rendere l’uomo migliore. L’amore, che muove Beatrice, ha potere benefico anche su di lui, che è attratto verso la virtù, verso il divino, grazie a lei. Ma quel messaggio di amore parte dal profondo dell’inferno e viene pronunciato da Francesca, brutalmente uccisa assieme al suo amante, dal marito tradito.

Amor ch’a nullo amato amar perdona” le fa dire;; Dante con questi versi vuole invitare tutti noi a lanciare l’amore nel mondo, perché l’amore, una volta inviato, dà sempre buoni frutti.

Ma il poeta testimonia anche i valori della giustizia e della lealtà: onestà e rettitudine sono richiesti all’umanità che però cade nella tentazione del peccato: la cupidigia, rappresentata dalla lupa, è il male che distrugge il mondo, che corrompe e corrode, che atterra e che uccide. Dante paga con l’esilio la sua rettitudine e non sopporta chi invece cede ai compromessi in cambio di favori e di vantaggi economici.

Ma se ogni uomo è incline al peccato, tutti gli uomini possono ritrovare una strada che li conduce verso la virtù.

Dante non è stato solo uno straordinario letterato e un modello di uomo, l’Alighieri è ancora oggi uno straordinario maestro perché le sue opere, se interrogate sanno dare ai lettori le risposte di cui hanno bisogno. Provare per credere!

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