Cinema

Dune: la recensione del film “larger than life” di Denis Villeneuve

Gli amanti del cinema in generale e del cinema di fantascienza in particolare aspettano anni l’uscita di un film come Dune. Ovvero un progetto ad altissimo budget affidato a uno dei migliori registi della sua generazione.

Per Dune, a causa dei continui ritardi dovuti alla pandemia, abbiamo atteso anche più a lungo del previsto. Ora, dopo il passaggio a Venezia 78 fuori concorso, finalmente Dune è arrivato al cinema.

E solo lì deve essere visto.

Dune: la trama

Nell’anno 10191 l’universo è diviso in tanti mondi, abitati da altrettante civiltà, riuniti sotto un unico imperatore. Il pianeta desertico Arrakis, conosciuto anche con il nome di Dune, è divenuto una terra di conquista per la preziosa materia prima di cui è ricco, “la spezia”, ricercata in tutto l’Imperium per i suoi straordinari poteri.

Per 80 anni gli spietati Harkonnen si sono arricchiti con le risorse di Arrakis soggiogando i nativi Fremen, abitanti del deserto con gli occhi blu. Dopo decenni di sfruttamento e violenze, l’imperatore decide di destituire gli Harkonnen e di affidare il prezioso feudo alla famiglia Atreides, guidata dal Duca Leto (Oscar Isaac).

Da secoli i Fremen attendono l’arrivo di un messia che li liberi dal giogo degli sfruttatori. Fin dalla vigilia dell’arrivo degli Atreides su Arrakis si diffonde la voce che il giovane figlio del Duca, Paul (Timothée Chalamet), sia l’atteso Lisan Al-Gaib, “La voce dal mondo esterno”, il messia.

Le notti di Paul sono tormentate da strani sogni: vede la morte del suo maestro di spada Duncan Idaho (Jason Momoa) e una giovane Fremen, Chani (Zendaya), che sembra chiamarlo alla causa del suo popolo.

La madre di Paul, Jessica (Rebecca Ferguson) comincia a vedere in suo figlio il potenziale eletto, il Kwisatz Haderach, che i membri della casta a cui appartiene attendono da secoli. È lei che lo addestra nella ricerca della “voce”, un potere in grado di piegare gli uomini al proprio volere.

Jessica è una delle Bene Gesserit, una casta di stampo matriarcale guidata dalla potente Gaius Helen Mohiam (Charlotte Rampling) fedelissima dell’imperatore. Per secoli le Bene Gesserit hanno incrociato le linee di sangue per creare il Kwisatz Haderach, una figura con poteri mai visti in grado di controllare l’universo. Forse il giorno è finalmente arrivato.

Giunto su Harrakis con il suo potente esercito, capeggiato dal fidato Gurney Halleck (Josh Brolin), il Duca prende in mano le operazioni per l’estrazione della spezia. A minacciarle è la presenza di giganteschi vermi che abitano le sabbie del deserto.

A differenza degli Harkonnen, il duca Leto è intenzionato a instaurare la pace con il popolo dei Fremen guidato da Stilgar (Javier Bardem). I due stringono una sorta di patto di non belligeranza.

Su Harrakis il giovane Paul continua ad avere i suoi sogni premonitori e strane visioni, amplificati dal potere che la spezia sembra avere sulla sua mente. Su di lui crescono le aspettative e con esse le minacce. Il barone Harkonnen (Stellan Skarsgård) non ha intenzione di rinunciare alla spezia, la risorsa più preziosa dell’universo.

Quanto è difficile portare il romanzo di Frank Herbert al cinema

Dalla lunghezza della trama qui tratteggiata si percepisce subito la difficoltà di portare sullo schermo l’opera di Frank Herbert, caposaldo della letteratura di fantascienza. Tra l’altro, va subito precisato che la vicenda narrata in questo Dune di Denis Villeneuve fa riferimento a una porzione del grande romanzo di Herbert, più o meno alla metà del primo volume dell’intero ciclo di Dune.

La quantità di materia raccontata e la complessità dell’intreccio danno l’idea del perché su questo romanzo siano andati a sbatterci autori come David Lynch e Alejandro Jodorowsky, non proprio due mammolette.

Jodorowsky non è riuscito neppure a realizzare la sua versione (che a quanto pare sarebbe dovuta durare circa 10 ore). E per quanto riguarda il Dune di Lynch, lui stesso ha sempre detto di odiare il suo film del 1984 (parte della colpa è da imputare al produttore/tiranno Dino De Laurentiis che gli negò il final cut imponendo scellerati tagli al montaggio).

Il progetto di Denis Villeneuve di dividere il primo romanzo in due parti è quindi da considerarsi una saggia e coraggiosa decisione. (Meno coraggiosa dal punto di vista della produzione che ha preferito aspettare gli incassi di questo primo capitolo prima di mettere in cantiere il secondo. Per cui, se Dune andrà male al botteghino, scordiamoci il seguito).

Dune: il cast stellare

Le 2 ore e 35 hanno permesso così a Villeneuve di prendersi i suoi tempi per tessere lentamente (per alcuni anche troppo, ma noi dissentiamo) l’intricata trama e costruire i tanti personaggi che popolano l’Imperium.

Da sx Rebecca Ferguson, Zendaya, Javier Bardem e Timothée Chalamet in una scena di Dune. © Warner Bros.

Sì, perché Dune, nonostante la centralità della figura di Paul, è un racconto corale e la grandezza di questo progetto è misurabile anche sul peso del cast imponente che è stato messo in piedi.

In certi casi, come quello di Josh Brolin, a nostro avviso anche un po’ sprecato. Il suo Gurney Halleck e il Duncan Idaho interpretato da Jason Momoa sono quelli che più sembrano risentire della complessità della vicenda e della quantità di personaggi da conoscere e da coinvolgere. Meritavano forse qualcosa di più.

Diverso è il caso del quasi irriconoscibile Stellan Skarsgård. Il suo disgustoso barone Harkonnen (che si tocca la testa pelata come Marlon Brando in Apocalypse Now) è il grande cattivo che emerge quando serve e quanto basta per restare impresso nella memoria.

Anche Zendaya e Javier Bardem fanno delle brevi apparizioni, più che personaggi a tutto tondo sono investimenti per il prossimo capitolo. In questa prima parte è la famiglia Atreides la vera protagonista della storia e gli attori che la interpretano sono tutti centrati.

Soprattutto Rebecca Ferguson, molto brava a rendere la lotta interna tra le sue due nature: quella della madre amorevole e protettiva e quella più inquietante della Bene Gesserit.

Timothée Chalamet dimostra di avere carisma a sufficienza per reggere sulle sue spalle il peso di un personaggio centrale in una produzione da 165 milioni di dollari. Anche se l’attore, così come già visto ne Il re di David Michôd, pare non avere molta propensione per le scene di lotta, che non sono proprio il suo forte.

Timothée Chalamet in una scena di Dune. © Warner Bros.

Il mondo creato da Denis Villeneuve

Lo stesso regista non sembra così interessato alle scene di azione e dà il meglio di sé nella costruzione di inquadrature statiche e molto ampie in cui riesce, grazie a un lavoro portentoso del production designer Patrice Vermette, a portare sullo schermo la sua idea di mondo.

L’immaginario di Denis Villeneuve è fatto di geometrie perfette e scene immense, tutto in Dune è gigantesco come i vermi del deserto.

La fotografia di Greig Fraser è scura, plumbea e contribuisce a creare quell’ambiente ieratico e severo che fa di Dune, a differenza di altre pellicole del suo genere, un film serissimo.

Dune. © Warner Bros.

L’accostamento con Star Wars è immediato, non perché Dune sia una scopiazzatura, ma perché a suo tempo lo stesso George Lucas per la creazione della saga capolavoro si ispirò al romanzo seminale di Frank Herbert.

La differenza che balza subito agli occhi, però, è il tono con cui le due storie, molto simili nello scenario ma anche in alcuni singoli elementi (cos’è “la voce” in Dune se non una sorta di “forza”?), vengono raccontate.

In Dune non c’è spazio per l’ironia. Sono solo due i momenti in cui si accenna una battuta ed entrambi riguardano il personaggio di Jason Momoa, che è probabilmente quello più “starwarsiano” del film. Per il resto, Dune è severo e rigoroso come una Bene Gesserit.

Questa è una ragione per cui, a nostro avviso correndo il rischio di essere tacciati di blasfemia, la colonna sonora di Hans Zimmer questa volta non sembra essere molto centrata.

Nella lunga collaborazione con Christopher Nolan, Hans Zimmer era riuscito a creare un connubio perfetto tra musica e immagini, componendo temi che non accompagnavano solo la narrazione, ma erano narrazione a sé. Questa volta, la magia sembra non essergli riuscita.

Denis Villeneuve è un regista che dà molta importanza ai suoni e lo si vede anche in Dune, con le lingue, i versi e la stessa “voce”. Forse, una colonna sonora meno roboante sarebbe stata più appropriata per un lavoro di lenta creazione dell’atmosfera come questo.

Conclusioni

Dune è un film che cresce piano piano e nonostante la durata merita più di una visione. Un film che a distanza di giorni lascia la sensazione di aver visto davvero un altro mondo, costruito su scale sconosciute alla nostra quotidianità. Vermi lunghi centinaia di metri, navi da guerra grandi come isole, in Dune la dimensione non ha a che fare con l’umano, non con quello di oggi, almeno. Anche qui sta il fascino della fantascienza: regalare la prospettiva di un orizzonte possibile ma ancora inaccessibile.

In questo momento in cui le serie tv stanno superando i film per qualità di idee e proposte, Villeneuve è uno di quei registi in grado di regalarci ancora momenti di grande cinema pensati per la sala. Arrival e Sicario sono tra i migliori titoli degli ultimi anni e con Blade Runner 2049 il regista canadese aveva già dimostrato di saper maneggiare una pesante eredità senza sciuparla. Con Dune non delude.

E gli incassi, almeno in alcuni paesi (in America esce il 22 ottobre), fanno ben sperare per la realizzazione del secondo capitolo.

Andate al cinema!

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