La nuovamente restaurata Resurrezione di Cristo di Piero della Francesca, nel Palazzo Pubblico di Borgo Sansepolcro (AR) è un’icona del cristianesimo rinascimentale, che da sola giustificherebbe una visita alla città natale di Piero della Francesca. Eseguita intorno al 1463 con una tecnica tra l’affresco e la pittura “a secco”, mette in grande evidenza l’elemento da cui la cittadina prende nome, il sepolcro di Gesù, e – sebbene il restauro che viene abbia confermato un antico spostamento del muro su cui la Resurrezione è dipinta – verosimilmente l’opera fu concepita per la sede governativa. Riprende l’assetto della identitaria Resurrezione dipinta per l’altar maggiore del duomo di Borgo nel Trecento, ma aggiorna la pala medievale con un Cristo in cui traspare l’ammirazione per la statuaria greco-romana.
Piero della Francesca comunica perfettamente il paradosso della fede in un Salvatore morto e risorto. La sua composizione gioca infatti sul contrasto tra l’orizzontale della tomba, con i soldati assopiti per terra, e il verticale costituito dal vigile Cristo che si staglia contro il cielo. Il verticale del corpo eretto è poi rafforzato dal vessillo della vittoria pasquale e dagli alberi a destra e sinistra.
Questi infine vengono accuratamente differenziati: a sinistra spogli e invernali, e destra verdi e primaverili, quasi a illustrazione del concetto paolino della creazione sottoposta controvoglia alla caducità ma “protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”, speranzosa di entrare, lei pure, “nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-22). E al centro, tra l’inverno e la primavera, un Cristo in cui il vigore del corpo contrasta con la stanchezza del volto: una delle poche raffigurazioni della resurrezione dove viene suggerito nel Vivente la recente esperienza della morte.
Con uno sforzo di sintesi ispirato, Piero ha creato un’immagine stabile ma non statica, dinamica ma non agitata, in cui l’equilibrio delle componenti rimane in vitale tensione. Il Cristo dal volto bizantino, che s’ispira forse all’arcaico Volto Santo ligneo del duomo, è anche un atleta che col piede sinistro sta per sollevarsi. Anziano di giorni eppure novissimo, rivela il mistero di un Verbo di vita che l’uomo conosce nella propria carne, mediante la fede nella resurrezione del Figlio di Dio. Apice di una piramide alla cui base è la morte, questo Cristo gravemente bello annuncia l’inesorabile trionfo della vita; i suoi occhi, che hanno visto la debolezza umana, ora guardano oltre, alla forza del Dio fedele.
Rivalutata nel tardo Ottocento e primo Novecento per le sue qualità formali, l’arte di Piero era per molto tempo letta senza attenzione al suo contenuto cristiano. “L’incanto di un’arte così impersonale, così libera da ogni emotività […] è indubbiamente grande”, scriveva il critico americano Bernard Berenson nel 1897, aggiungendo che “laddove non c’è l’espressione di sentimenti specifici, possiamo cogliere impressioni puramente artistiche di valori tattili, di movimento e di chiaroscuro”. Analogamente “formalista” è stata la lettura dei contenuti: l’inglese Kenneth Clark chiamava il Risorto di Piero un “dio campagnolo […] adorato fin da quando l’uomo ha appreso che il seme non è morto nel terreno invernale, ma salirà aprendosi a forza una strada nella crosta di ferro”.
Oggi simili valutazioni sembrano insoddisfacenti. Ciò che Berenson vedeva come “impersonalità” si rivela piuttosto una gravitas rituale che non sopprime il sentimento ma lo disciplina, e nel Risorto pierfrancescano non vediamo più un “dio campagnolo” genericamente allusivo ai processi di rigenerazione, ma quel Gesù che, la mattina di Pasqua, tornò da una morte crudele, la cui vittoria sin dall’era paleocristiana viene celebrata con linguaggio allusivo al trionfo di un eroe antico.
L’opera di Piero sembra infatti illustrare l’inno pasquale Aurora lucis rutilat, che descrive Cristo come il “potentissimo re che, distruggendo l’umana morte, calpestò l’inferno per spezzare le catene dei miseri: colui che, crudelmente rinchiuso dai militi nel sepolcro, ora vittorioso, nella nobile pompa del trionfatore, sorge dalla pira funebre”.
Giovane artista a Firenze durante il concilio ecumenico, Piero deve aver visto le icone portate davanti ai prelati greci e russi nelle cerimonie, e la sua arte sembra voler restituire al naturalismo rinascimentale qualcosa della ieraticità bizantina. Ma coglie anche la poesia del mondo classico e, strutturata da principi matematici, comunica un misticismo razionale fuori del tempo. Nella bellezza del suo Risorto, Piero infatti ci mostra in prolessi i nostri corpi glorificati, e, anticipando la perfezione futura, fa vedere Dio nell’uomo ora.
Ma una visita a Sansepolcro è d’obbligo anche perchè ogni anno, tre giorni di spettacoli, tra arte, storia, cultura, musica e convegni tematici, sono tutti incentrati sul grande tema del Cammino di Francesco.
Un festival dedicato a tutti coloro che si mettono sulle tracce di Francesco per motivi naturalistici, religiosi, culturali, spirituali o sportivi. Un territorio che è crocevia fra Toscana, Marche, Romagna e Umbria, punto di incontro fra culture, forme d’arte e tradizioni.
Una terra connotata anche dalla sequenza dei suoi paesaggi che dalle sorgenti del Tevere all’Alpe della Luna trasudano una cultura immateriale fatta di tradizioni antiche e di umanità. Camminare diviene anche metafora ideale per illustrare la ricerca di un senso ulteriore e più alto del vivere, l’incontro con la natura diviene incontro con l’anima, il camminare diviene ricerca ancestrale del essere umano.
Camminare per i boschi o per gli angoli nascosti del centro di Sansepolcro diviene la chiave per avvicinarsi alla parte più autentica dell’essere umano
Il Festival dei Cammini di Francesco promosso da Progetto Valtiberina è un appuntamento ormai riconosciuto a livello nazionale che, anno dopo anno, rinnova la riflessione sul messaggio francescano affrontando i temi cruciali che pervadono la nostra epoca.
La Valtiberina, con il suo luogo simbolico creato per i giorni del Festival, ‘il Bosco’ in piazza Torre di Berta a Sansepolcro, è diventata luogo centrale per la divulgazione del messaggio di San Francesco, che mette al centro della sua riflessione religiosa e del suo percorso di vita il Bene Comune, inteso come valorizzazione della comunione e della fraternità fra gli uomini e fra l’uomo e la natura.
Quest’anno il festival, giunto alla sua III edizione, sarà terreno di dialogo in particolare sul tema dell’inclusione dell’Altro, che a partire dalla vicenda dell’incontro di San Francesco con il lupo di Gubbio ci insegna come il Diverso prima intimorisce e spaventa e poi, a seguito della vicinanza e conoscenza, diventa Amico. Ancora una volta è la vita di San Francesco, la sua testimonianza di vita ad ispirare la Rassegna. E inoltre la riflessione sui beni comuni porterà a parlare dell’importanza dell’Acqua, risorsa essenziale per la vita del pianeta, oggi minacciata da uno sviluppo improprio.
A portare il proprio contributo intellettuale e artistico sul pensiero di San Francesco saranno scrittori, musicisti, economisti, attori, studiosi e docenti di teologia del calibro di Massimo Cacciari, Giancarlo Giannini, Michele Serra, Roberto Fabbriciani, Padre Pietro Maranesi, Stefano Zamagni, Telmo Pievani e la Banda Osiris, Igiaba Scego.
La manifestazione offrirà al pubblico un ampio ventaglio di attività ricreative e culturali. Dalle passeggiate a piedi o in bicicletta, agli spettacoli e agli incontri voluti per riflettere insieme sui grandi temi sociali e ambientali del nostro tempo, fino al convivio gastronomico in occasione de La Cena dei Popoli in piazza Torre di Berta allestita, per l’occasione, con piante ed alberi ad alto fusto a ricreare un bosco vero e proprio: tanti saranno i momenti di riflessione e divertimento offerti al pubblico per vivere appieno i luoghi e la parola di San Francesco.
Il calendario ufficiale degli eventi, prenderà il via Venerdì 7 giugno subito dopo l’arrivo dei pellegrini partecipanti alla ‘camminata di avvicinamento’ che si terrà giovedì 6 giugno e proporrà il percorso classico che dal Santuario de La Verna, dove Francesco ricevette le stigmate, arriverà a Sansepolcro. L’intero programma del Festival è scaricabile dal sito www.festivaldeicammini.progettovaltiberina.it.
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