Recensione

I Am Not Okay With This, la nuova serie teen di Netflix di cui tutti parlano

I Am Not Okay With This è prodotta dalla 21 Laps Entertainment, i produttori di Stranger Things, ed è stata creata da Jonathan Entwistle, il geniaccio inglese che si era già fatto conoscere con il piccolo gioiello The End of the F***ing World, partendo dall’omonima graphic novel di Charles Forsman.

Trama

Sydney Novak (Sophia Lillis) è una diciassettenne impacciata e annoiata che vive con la madre, con cui ha un rapporto difficile, e il fratellino, dopo che il padre si è suicidato. Le sue giornate trascorrono nella monotonia di una città di provincia in Pennsylvania, la più inquinata d’America, in cerca di sopravvivenza a una, non proprio felice, esperienza liceale. L’unico raggio di sole in questa grigia vita è la sua bella e popolare migliore amica Dina (Sofia Bryant), di cui Syd è segretamente innamorata. A cercare di allietare i suoi pomeriggi arriva il suo strambo vicino di casa, Stanley (Wyatt Oleff), un tipo solitario che ascolta dischi in vinile, fuma erba e guida una carretta vecchia di trent’anni. La monotonia della vita di Syd si interrompe improvvisamente quando la ragazza scopre di avere dei superpoteri, che si manifestano in condizioni di particolare tensione o rabbia. Con l’aiuto di Stan (l’unico a conoscere il suo segreto) Syd dovrà imparare a controllare i suoi poteri (che tendono a essere piuttosto distruttivi) e tentare di scoprirne l’origine.

I Am Not Okay With This

Lo stile di I Am Not Okay With This, ancora 80s

Nonostante la presenza di alcuni elementi che tradiscono l’ambientazione ai nostri giorni, in generale la serie strizza l’occhio non solo all’immaginario anni 80, ma anche a tutta una certa cinematografia prodotta in America intorno a quegli anni. C’è persino una parentesi Breakfast Club nell’episodio 5. Si ha la netta impressione che l’inglese Jonathan Entwistle si sia alimentato di cultura americana. Questo si poteva già intuire in The End of the F***ing World, non solo per le scelte musicali ma anche per le ambientazioni, molto lontane dall’idea che si ha solitamente dell’Inghilterra. Di inglese lì, c’era solo un impagabile black humor. Certo l’autore delle graphic novels da cui entrambe le serie sono tratte, Charles Forsman, è americanissimo così come americana è l’ambientazione delle sue storie, ma si ha l’impressione che Entwistle abbia calcato ulteriormente questo aspetto.

I Am Not Okay With This è quindi una serie teen decisamente americana: ci sono le feste liceali, c’è il giocatore di football bello e scemo, c’è il burro di arachidi e c’è il bowling. Ci sono tutti i cliché della vita americana con cui siamo cresciuti attraverso lo schermo. Eppure la serie dimostra una sua freschezza e un approccio scanzonato che te la fanno divorare in un solo boccone (complice anche la breve durata dei singoli episodi).

Certo, considerando l’elemento soprannaturale e i rimandi all’estetica anni 80, il paragone con Stranger Things appare inevitabile. Stranger Things, però, che è effettivamente ambientata negli anni 80, si rifà a un universo spielberghiano in cui l’elemento fantascientifico è veramente centrale, mentre qui i superpoteri di Sydney fanno da contorno a un racconto di formazione e rappresentano semmai un’espressione del disagio e della rabbia tipici di quell’età, come in Carrie di Brian De Palma tratto dal libro di Stephen King, che la serie cita apertamente.

A differenza di Carrie, però, che viveva con una madre bigotta, oppressiva e invasata e che a scuola subiva continuamente le pesanti angherie di compagni e compagne, qui il trauma subito da Sydney, la sua sofferenza per il suicidio del padre e il rapporto difficile con la madre non sembrano sufficienti, o quantomeno non sono stati efficacemente drammatizzati tanto da renderli una plausibile fonte del suo dolore. Insomma, Sydney non è certo popolare, ma non è neppure l’ultima delle sfigate, nessuno la picchia, la sua migliore amica è la bella del liceo, c’è un ragazzo un po’ ridicolo ma simpatico e intelligente che è innamorato di lei, ha una casa dignitosa, un fratellino a cui vuole bene e una madre che magari non ambisce a concorrere al titolo di madre dell’anno ma non è neppure la tremenda Piper Laurie del film di Brian De Palma.

La parte più interessante della serie è proprio quella che indaga le insicurezze, l’irrequietudine e la confusione sentimentale e sessuale della Sydney in piena fase adolescenziale. E il fatto che la narrazione non sia cronologicamente definita fa sì che la storia parli a tutti e che sia godibile anche da parte di un pubblico che magari ha superato quella fase già da qualche decennio e che vede gli adolescenti di oggi, perennemente incollati agli smartphone, come alieni.

Molto belle fotografia e scenografia su cui prevalgono dei nostalgici toni marroni che concorrono a creare quell’atmosfera anni 80 ormai tanto cara ai prodotti Netflix. Il supermercato è ricoperto di laminato, la tavola calda ha i sedili in legno, Stanley ha una vecchia auto beige con i sedili in pelle, per non parlare della casa di Sydney che è un trionfo di tutte le nuances della scala dei marroni. Ci sono le VHS, non ci sono smartphone e la colonna sonora (fantastica) comprende pezzi dei Roxy Music e degli Echo & the Bunnymen. Il taglio di capelli e i vestiti 80s dello Stanley Barber di Wyatt Oleff, poi, ricordano tanto il Timothée Chalamet di Call Me by Your Name.

Tra il cast spicca su tutti Sophia Lillis, già meravigliosa nei panni di Beverly Marsh in It di Andy Muschietti, che qui dà corpo a una adolescente goffa e neppure particolarmente piacevole, con cui all’inizio fatichi a empatizzare, ma che poi ti conquista con il candore degli sguardi che rivolge alla sua migliore amica e con il senso di inadeguatezza che riesce a esprimere anche solo camminando.

Un po’ forzato e alla lunga stancante è forse l’uso del voice over, con la voce narrante di Syd che, con il pretesto di parlare al suo diario, ci mette a conoscenza di ogni suo singolo pensiero. L’uso del voice over è apparso molto più equilibrato in The End of the F***ing World . In generale, soprattutto scorrendo il catalogo Netflix, se si guardano i teen movies sembra sia diventato impossibile raccontare le irrequietudini adolescenziali senza dover ricorrere per forza all’espediente del voice over. Eppure recentemente Greta Gerwig con Lady Bird ha dimostrato egregiamente che si può, se sai fare cinema.

In conclusione, si può dire che I Am Not Okay With This non sia certo una serie priva di difetti e non sembra avere lo spessore di The End of the F***ing World né le atmosfere magiche di Stranger Things, ma una volta iniziata è difficile non portare a termine la visione.

La prima stagione di I Am Not Okay With This è disponibile su Netflix dal 26 febbraio. L’ultima puntata fa ben sperare sugli sviluppi di una possibile seconda stagione, che ci si aspetta più dinamica e maggiormente focalizzata sui superpoteri della protagonista. Il cliffhanger che chiude l’ultima puntata, nonostante non ci siano ancora conferme da parte dei produttori, lascia pensare che ci sarà.

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