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“I Ciardi. Paesaggi e Giardini”, la stupenda mostra a Conegliano Veneto

…Guglielmo Ciardi è lì fra Beppe e Emma, i due figli pittori e
non ode altro. Londra, Monaco, Venezia, le esposizioni, il pubblico,
le vendite, tutto scompare per loro davanti all’incanto di
quei bianchi, tra l’acqua e il prato, sotto il cielo soffuso d’oro. Il
Tintoretto tra Marietta e Domenico, i due Tiepolo a Zianigo poco
lontano da qui, Antonio e Bernardo Canaletto, Pietro e Alessandro
Longhi. Ricordi eroici che farebbero sorridere i miei compagni
se li enunciassi ad alta voce. Le anatre ci raggiungono nel
canale e starnazzano e stridono e ci assordano.

U.Ojetti, Ritratti d’artisti.

I Ciardi. in “Corriere della Sera”, 6 ottobre 1909

“I Ciardi. Paesaggi e Giardini”

Vale senza dubbio alcuno un viaggio nella stupenda Conegliano Veneto (TV) la stupenda Mostra “I Ciardi. Paesaggi e Giardini”, ospitata sino al prossimo 23 giugno nelle sale di Palazzo Sarcinelli, a cura di Giandomenico Romanelli, promossa dalla Città di Conegliano Veneto, Civita Tre Venezie, con la partecipazione della Regione Veneto. Il racconto della storia artistica della famiglia Ciardi (Guglielmo e i figli Beppe ed Emma, attivi tra ‘800 e ‘900) rivive come per incanto nelle sale del Palazzo nobiliare di Conegliano, quando Venezia era già il luogo deputato della nostalgia e Parigi ormai capitale dell’arte. Guglielmo, il padre, nato nel 1842, era stato destinato alla professione notarile. Fu un amico di famiglia, Carlo Matscheg a farlo deviare dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo Patavino all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel sestiere di Dorsoduro. Qui apprende subito la tecnica del disegno e dell’acquarello, impratichendosi nel copiare le vedute dei maestri del Settecento e dipingendo i primi paesaggi en plein air.

Guglielmo Ciardi, Il Grappa d’inverno, 1866, Fondazione Musei Civici di Venezia

Introdotto da una presentazione di Federico Zandomeneghi a Telemaco Signorini, nel 1868 è a Firenze dove ben presto diventa amico e sodale dei Macchiaioli seduti ai tavoli del Caffè Michelangelo, visita Roma e la Campania, soprattutto attratto dalla luce di Capri, Salerno e Sorrento. Rientrato a Venezia, insegna all’Accademia vedute di paese e di mare, alternando alle amate escursioni in Laguna e sulle Dolomiti frequenti viaggi nelle grandi città europee, da Londra a Parigi, a Berlino, dove nel 1886 la sua opera Messiodoro ottiene la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale. Quando muore, nel 1917, i suoi scorci del Canale della Giudecca e della campagna trevigiana lambita dal fiume Sile sono ormai entrati di diritto nelle più prestigiose gallerie italiane.

Guglielmo Ciardi, Mattino di maggio, 1869, Fondazione Musei Civici di Venezia

Dei suoi quattro figli, due sono pittori affermati: Beppe (1875-1932), attratto dal Simbolismo e in particolare da Bocklin, talento precoce che, dopo aver provato anche il figurativo, rientra nel solco familiare privilegiando le vedute campestri. Emma (1879-1933), erroneamente bollata come pittrice minore di salotti e boudoir, che eredita dal padre la passione per i viaggi, oltre quella per la pittura.

Se Beppe, affascinato dai nuovi linguaggi, finisce con il subire l’influenza del Divisionismo e di Segantini in particolare, Emma torna al vedutismo puro, quasi di gusto settecentesco, da cui aveva iniziato suo padre. “La convivenza familiare-scrive Giandomenico Romanellirivela qualche crepa” soprattutto per l’opposizione dei parenti al matrimonio di Beppe con la modella Emilia Rizzotti “troppo giovane, troppo povera e troppo estranea all’ambiente e ai livelli culturali e sociali conseguiti dai Ciardi”.

Guglielmo Ciardi, Lungo il Sile, fine Ottocento, Padova, courtesy Galleria Nuova Arcadia di L.Franchi

Emma, rimasta sempre nubile, invecchierà accanto all’amato nipote Francesco Pasinetti (1911-1949), documentarista, regista, sceneggiatore e critico, autore di una prima Storia del Cinema, ormai diventata un classico. Le suggestive sequenze di Venezia negli anni Trenta, accostate alle celeberrime vedute del nonno Guglielmo, sembrano capitoli di uno stesso affascinante album dei ricordi.

In una fase di grandi cambiamenti della pittura, sempre più orientata verso lo studio dal vero o en plein air della realtà, Guglielmo e i figli Beppe ed Emma assumono un ruolo di protagonisti assoluti della scena artistica veneziana, italiana ed internazionale, partecipando alle Biennali di Venezia e ai più importanti appuntamenti espositivi nazionali, avendo anche una buona visibilità all’estero. La ricchezza della loro scelta a favore del paesaggio si misura nelle radicali novità che essi (e soprattutto Guglielmo) sanno introdurre in questo genere pittorico: la luce declinata in tutte le possibili atmosfere, la presenza viva e palpitante della natura nelle piante, nei campi, nelle messi, nelle distese di eriche; la maestosità spesso scabra delle masse montuose, colte nella luce azzurra dell’alba o in quella struggente e aranciata dei tramonti, i filari, i covoni, i corsi d’acqua.

Guglielmo Ciardi, Novembre (Acquitrini sul Sile), 1870 c., Padova, Courtesy Galleria Nuova Arcadia di L.Franch

La rassegna consente di apprezzare attraverso più di 60 opere e con un taglio originale, legato principalmente alla rappresentazione della natura e del paesaggio veneto, gli elementi qualificanti della produzione di questa famiglia, mettendo in evidenza peculiarità, convergenze e divergenze tra i tre artisti, ben riconoscibili grazie ad alcuni confronti proposti in mostra. I prestiti provengono da alcune istituzioni pubbliche come l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, Casa Cavazzini ̶ Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine e la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, con un nucleo significativo di dipinti finora conservati nei depositi ed esposti al pubblico dopo circa vent’anni, oltre che da collezioni private.

Il percorso si apre con un focus sugli esordi di Guglielmo ancora influenzato dalla tradizione paesaggistica ottocentesca come si può vedere dal precocissimo e inedito dipinto del 1859 Paesaggio fluviale, per proseguire con gli anni trascorsi all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida di Domenico Bresolin (Padova, 1813-Venezia, 1899) e l’importanza che assumerà il paesaggio dell’entroterra veneto nella sua ricerca artistica. Atmosfere campestri e “acquitrini” lungo il Sile ma altresì paesaggi pedemontani e dolomitici costituiscono filoni originali e per certi versi trascurati della produzione dell’autore. I prolungati soggiorni attorno a Quinto di Treviso, Fonzaso, Asiago, San Martino di Castrozza gli avevano consentito d’instaurare un dialogo intimo con le caratteristiche specifiche di questi luoghi dell’infanzia e della memoria, permettendogli di ritrarli con rara profondità e continuità.

Emma Ciardi, Interno studio rosso, 1922 circa, Collezione privata

 La seconda sezione è dedicata al lavoro di Emma, instancabile pittrice e viaggiatrice apprezzata a livello internazionale, cultrice della tradizione del vedutismo veneziano, capace di rielaborare le esperienze macchiaiole, impressioniste e tardo impressioniste con un’originale chiave espressiva. L’artista riscopre la grande tradizione guardesca in un inedito settecentesimo ironico e brioso con un chiaro gusto moderno e insieme citazionista, toccando forse i più singolari risultati nell’attenzione verso i giardini e i parchi, una sorta di hortus conclusus dove regnano quiete e sicurezza. Vi è anche un altro elemento importante che la mostra mette in luce: le numerose peregrinazioni artistiche in Europa, testimoniate da un confronto tra alcune opere di Guglielmo ed Emma. In questi viaggi la passione naturalistica e la pratica della veduta si arricchiscono di acquisizioni cosmopolite così come di soggetti e iconografie rinnovati, dagli Impressionisti alla scuola di Glasgow.

Emma Ciardi, in giardino

Il percorso si chiude con l’opera di Beppe, presentata sotto una luce nuova che vuole mettere in evidenza la modernità e gli accenti simbolisti dell’autore, il quale, pur nella fedeltà alla poetica paterna, introduce elementi più tipicamente novecenteschi fino a dar spazio a una visione personale del paesaggio. Nonostante le evidenti analogie con la produzione di Guglielmo, opportunamente segnalate in mostra, è evidente l’attrazione verso il simbolismo nordico e la fascinazione per l’opera di Böcklin. Nella sua pittura si afferma via via, oltre a una presenza pacata di animali e pastori, la centralità della figura umana che, grazie alla lezione di Ettore Tito, talora si emancipa fino a prevalere sul paesaggio.

Beppe Ciardi, Plenilunio, 1900 circa, Fondazione Musei Civici di Venezia

Scrive ancora Romanelli: “A Venezia, a cavallo tra ‘800 e ‘900, esistettero altri nuclei familiari che diedero vita a produzioni artistiche prolifiche, ma i Ciardi sono unici per la somiglianza di stili e al tempo stesso la diversità espressiva che li ha contraddistinti. Una famiglia che ha dato vita a un cambiamento radicale nell’evoluzione della pittura di paesaggio veneta e nazionale: Guglielmo fu rivoluzionario perché passò da una pratica accademica convenzionale all’en plein air, portò il pennello dentro la natura, in campagna, spinto dagli insegnamenti all’Accademia di Belle Arti di Venezia del fotografo e pittore Domenico Bresolin che chiedeva ai propri allievi di liberarsi dai condizionamenti e di non limitarsi a riprodurre brani di paesaggio già dipinti. Li esortava quindi ad andare in baita con tavolozza e ombrello per difendersi dai raggi crudi del sole”.

 L’itinerario segue, dunque, l’evoluzione del linguaggio di ciascuno dei tre autori, ripercorrendo la vicenda di una delle più importanti famiglie della storia dell’arte veneta a cavallo tra Otto e Novecento.

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