Film di Matteo Rovere. Con Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garribba Italia, Belgio 2019
I pastori Romolo (Lapice) e Remo (Borghi) vengono travolti dalla piena del Tevere e trascinati esanimi vicino al villaggio di Alba. Gli abitanti li catturano e insieme ad altri prigionieri li portano al centro delle capanne dove la vestale Satnei (Garribba) ordina che, a due a due, gli ostaggi combattano a morte fra di loro, acciocché il perdente sia offerto in sacrificio alla Triplice Dea. Viene selezionato anche Romolo che dovrebbe combattere contro Tefarie ma Remo chiede di sostituirlo e così, dopo che questi si è finto morto, i due combattono gli armigeri, liberano i prigionieri e scappano portando con loro la vestale. Nello scontro, Romolo è stato ferito gravemente ma quando, per sfuggire ai guerrieri di Alba, i fuggitivi decidono di attraversare il bosco dei feroci Velienses, Remo rifiuta di lasciarlo a terra e se lo fa legare addosso per portarlo con se. Tefarie convince gli altri che il ferito – che ha toccato Satnei – sia maledetto e che solo uccidendolo potranno salvarsi. Remo lo affronta e lo uccide ferocemente, proclamandosi capo degli spaventati compagni.
Una notte, per sfamare e dissetare lo stremato fratello, Remo decide di andare a caccia e chiede alla vestale, in cambio della promessa di proteggerla, di vegliare su Romolo. Cai (Vincenzo Pirrotta) e Mamercus (Fiorenzo Mattu) – d’accordo con gli altri – provano ad ucciderlo ma Satnei lo circonda col fuoco sacro sino a che l’arrivo di Remo, che ha catturato un cervo, li ferma e ne consolida la preminenza; Remo, a questo punto, li invita a stare uniti sotto il suo comando: così, dice, potranno soggiogare tutti i villaggi intorno al Tevere, che sono divisi e sparpagliati. La prima battaglia contro i Velienses rivela il loro valore e l’efficacia della strategia di Remo. Così, poco dopo, sconfiggono le Teste di Lupo e si impadroniscono del loro villaggio, dove il vecchio re (Rongione) dà a Romolo la sua capanna, mentre Romolo, ancora malconcio, viene curato dalla vestale. Quella notte c’è una festa funebre per i guerrieri morti e a Satnei viene chiesto un aruspicio e lei, esaminando, le interiora di un agnello, dice che da un fratricidio sorgerà una città che formerà un immenso impero. Tutti sollecitano Remo ad uccidere il fratello ferito – compreso lo stesso Romolo – ma lui rifiuta e, preso da furore, incendia alcune capanne, spegne il fuoco sacro e trascina la vestale nel bosco, lasciandola legata e in balia delle fiere.
Poco dopo, pentito, va a cercarla ma è tardi e lei, prima di morire, gli dice che entrambi sono stati guidati da un disegno degli dei. L’indomani Remo parte con i suoi e Romolo, già in grado d camminare, riesce miracolosamente a riaccendere il fuoco e, acclamato re dai superstiti del villaggio (per lo più donne e ragazzi) decide di armare tutti coloro in grado di combattere e di raggiungere gli altri. Remo ed i suoi sono stati aggraditi dai cavalieri di Alba e stanno soccombendo ma l’arrivo di Romolo cambia le sorti del combattimento. Ora i fratelli sono uno di fronte all’altro e Remo cerca di convincere l’altro a seguirlo in un destino di conquiste senza regole e senza divinità, mentre Romolo capisce di aver avuto la missione di fondare una città che, accogliendo chi voglia avere una sorte diversa e sottomettendo le popolazioni vicine, sia – nei secoli – al centro di un impero. Lo scontro tra i fratelli finisce come la storia insegna.
Matteo Rovere, che produce e dirige, è uno dei cineasti più brillanti della nuova generazione: ha diretto il notevole Veloce come il vento (uno dei pochissimi film drammatici italiani di questi anni ad aver ottenuto buoni incassi) e ha prodotto l’intelligente serie cinematografica Smetto quando voglio. Ora, con Il primo re, ha compiuto un’operazione coraggiosa sia dal punto vista produttivo – il film è costato più di 8 milioni ed è completamente fuori dagli schemi di commedia o di film di denuncia sociale che coprono la totalità (o quasi) della nostra produzione, scegliendo inoltre di far parlare i personaggi in un latino aulico, ricostruito dai classicisti della Sapienza – che da quello autoriale, rifacendosi ai non facili modelli di La passione di Cristo e Apocalypto di Mel Gibson, di Revenant di Alejandro Inarritu, de Il nuovo mondo di Terrence Malick e, forse soprattutto, del glaciale Valhalla rising di Nicolas Refn. Giustamente, il sapiente critico Michele Anselmi invita a non lasciarsi andare a paragoni goliardici con Romolo e Remo di Sergio Corbucci con i forzuti Steve Reeves e Gordon Scott e Ornella Vanoni o Remo e Romolo – Storia di due figli di una lupa di Castellacci e Pingitore con Enrico Montesano, Pippo Franco e Gabriella Ferri; gli diamo retta e ci asteniamo anche da paragoni con 300 di Zack Snider (anche se la frase “Tremate: questa è Roma” ricorda parecchio il “Questa è Sparta” di Leonida/Gerard Butler) ma qualcosa ne Il primo re non ci convince; è tutto molto curato, gli attori sono molto ben scelti, la fotografia di Daniele Ciprì è perfetta ma, alla fine, nel film non ci entri (e non è un problema di lingua: il protolatino è forse una scelta un po’ snob ma non è distraente). Può darsi che lo penalizzi proprio un eccesso di perfezionismo: gli attori raccontano, ad esempio, di mesi di riprese nei disagi e la sporcizia del bosco. Detto questo, rimane e fa piacere ribadirlo, il rispetto per un tentativo intelligente e di buona qualità di tentare strade nuove per il nostro morente, morentissimo cinema.
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