Film di Pascal Laugier. Con Crystal Reed, Taylor Hickson, Rob Archer, Emilia Jones, Adam Hurtig Francia, Canada 2018
La nevrotica adolescente Beth (Jones), ammiratrice di Lovecraft (a lui si ispira nello scrivere racconti gotici), con la sorella Vera (Hickson) e la madre Pauline (Mylène Farmer) sono in viaggio per andare a prendere possesso di una casa che una zia ha lasciato loro in eredità. Nel tragitto sono superate da un camion dei gelati, cui Vera (in piena ribellione adolescenziale) fa un gestaccio. Arrivati alla villa isolata, la trovano arredata pesantemente e piena di inquietanti bambole. Vanno a dormire un po’ in subbuglio; poco dopo il furgone dei gelati si ferma davanti alla casa e ne scendono un uomo agghiacciante (Kevin Power) con una parrucca nera e vestito come una strega punk e un laido grassone (Archer) claudicante. I due le aggrediscono e, mentre Vera e la madre si difendono come possono, Beth, nascosta, assiste alla scena paralizzata dal terrore. Pauline alla fine, pur ferita, accoltella la strega e Vera colpisce il grassone; sollecitata dalla madre, Beth scappa.
Anni dopo Beth (Reed), ora adulta e diventata una scrittrice di best seller horror, vive una vita serena con il marito (Hurtig) e il figlio (Denis Cozzi), quando le arriva una telefonata allarmata dalla madre: lei, nonostante tutto, è rimasta nella casa del fattaccio ad accudire Vera che dopo quella notte è impazzita e che – di qui la telefonata – ha una nuova crisi. Beth – pur nel pieno della promozione del suo ultimo successo, che è ispirato ai fatti di quella notte – si precipita nella casa e trova la sorella in condizioni pietose e auto-reclusa in cantina e la madre che si fa forza come può. Di lì a poco tornano, forse fantasmi, la strega ed il grassone e l’incubo ricomincia (o non era mai finito?).
Lovecraft è, insieme a Poe (a cui si è ispirato per i primi racconti), il maggior autore di horror della tradizione statunitense. Stephen King lo considera un maestro è tutto il genere gotico moderno gli è debitore. A differenza di Poe, le cui opere sono state trasposte sullo schermo dal geniale Roger Corman in capolavori (La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, I vivi e i morti, Sepolto vivo, La tomba di Ligeia, I racconti del terrore, I magni del terrore), Lovecraft ha ispirato, oltre a La città dei mostri (sempre un Corman notevole – peraltro tratto anche da una poesia di Poe – ma non il migliore), decine di film (Re-animator, Necronomicon, Chtulu, La fattoria maledetta, La morte dall’occhio di cristallo, tra i più noti) ma nessun titolo realmente memorabile, se non tra gli appassionati. In realtà, i suoi racconti – nei quali, a differenza dello psicologico Edgar Allan che l’orrore lo faceva nascere dalla condizione umana, era centrale l’elemento demoniaco o fantasmatico – hanno influenzato il filone riconducibile a La casa: un’abitazione sinistra che, colpita da una maledizione, distrugge chi vi dimora. Laugier è uno specialista (ha girato solo horror, tra i quali i notevoli Saint-Ange e Martyrs) e per questo film dichiara un debito di ispirazione a Tobe Hooper ai suoi Non aprite quella porta – in effetti il grassone deve molto a Leatherface (ma un po’ anche al buffo Sloth dei Goonies) – oltre, ovviamente, rifarsi a Lovecraft, che non solo ispira le opere di Beth ma appare in carne ed ossa (o quasi) quale saggio deus ex-machina. In conclusione, La casa delle bambole – Ghostland è un film riuscito a metà: un buon cast, con la bella intuizione di usare la famosa cantautrice Mylène Farmer (soprannominata l’Ange Rouge per la sua trasgressività), scenografie (di Gordon Wilding) di grande effetto, bei dialoghi ma paura quasi zero, con un viavai tra passato e presente, immaginazione e realtà, rimozione e angoscia un po’ meccanico e senza (qui ci vuole) quel senso lovecraftiano del male che lo avrebbe reso speciale.
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