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“La signora Gocà”, in ricordo di Donna Marella Agnelli

La scomparsa di Donna Marelli Agnelli Caracciolo di Castagneto, avvenuta sabato 23 febbraio u.s., nella residenza di Villa Frescot a Torino, mi ha riportato a leggere il Suo libro “La signora Gocà”, contrazione di go to the car, complesso gioco di rimandi fra una madre bella e distratta e una torma di figli vivaci, Adelphi Editore, 236 pp, recente autobiografia di Marella Agnelli (Firenze, 4 maggio 1927) dedicata agli anni giovanili della futura moglie dell’Avvocato, attraverso cinque capitoli che corrispondono a cinque luoghi del cuore (I Cancelli la Villa sulle colline fiorentine, il castello di Ratzötz a Millan frazione di Bressanone in Alto-Adige, Ankara in Turchia, il Roncaccio in Svizzera e lo swing di Roma liberata nel ’44), in cui The Swan, Il Cigno, come fu  soprannominata Donna Marella Caracciolo di Castagneto dal fotografo Richard Avedon,  rievoca dalla “seppia evanescente” del passato una serie di personaggi jamesoniani ritratti con gusto ed evocativa nostalgia. “Esteti, colti, raffinati”, gli angloamericani Clarke, denominati con una cattiveria tutta fiorentina “anglobeceri”, nei ruggenti primi anni del XX Secolo, elevarono l’Italia e Firenze come loro patria di adozione.

La Signora Gocà – Marella Agnelli – Adelphi editore

La piccola Marella insieme al fratello maggiore Carlo e a quello minore Nicola, la sera, le luci accese, osservava con stupore attraverso le persiane socchiuse della dimora ai Cancelli, a Firenze, tutte quelle persone che erano assiepate in quelle che “un tempo erano state le nostre camere”. Ora la guerra finalmente era terminata, la famiglia di Marella composta dai genitori, il padre Filippo Caracciolo di Castagneto, dalla madre Margaret Clarke e dai tre figli, era alloggiata in una “casetta” un tempo colonica, dalle mura spesse come quelle di una fortezza, appartenente alla nonna materna Alice.

La famiglia si era ricostituita ma era inverno e faceva freddo, per qualche ora la sera veniva acceso il fuoco nel grande camino di quella che un tempo era stata la cucina. In questo camerone avevano trovato rifugio i libri della villa padronale, molti tomi, perché confluivano da tre diverse biblioteche, quella americana della quella inglese della nonna di Filippo e quella italiana proveniente da un avo coltissimo, il principe pugliese Mele Bardossi. Questi volumi, disposti un po’ in scaffalature lungo i muri, un po’ ancora in casse, erano ispezionati con curiosità infantile dai rampolli Caracciolo fino a quando non avevano rivolto la loro attenzione al locale sopra il garage, dove avevano scoperto, in grandi armadi di legno, fotografie e lettere. Una serie di memorabilia che agli occhi di Marella, Carlo e Nicola risultavano quanto mai affascinanti, autentiche testimonianze di vite passate in luoghi diversi. Album e fotografie ingiallite dal tempo sul retro delle quali c’erano timbri di Chicago o New Orleans.

Marella e Gianni Agnelli

Si notavano “visi attoniti, inespressivi, forse duri e vestiti semplici che contrastavano con i sorrisi appena accennati, i pizzi, le perle, le parures, le calèches delle donne napolitane”. Un giorno però per conto suo, Marella aveva scovato un “bauletto di chagrin” messo in disparte che “non feci vedere subito ai miei fratelli”. Ricoperto da una pelle di pitone verde chiaro, il bauletto al suo interno conteneva pacchi di lettere tenuti insieme da nastri: “La corrispondenza che si erano scambiati mia madre e mio padre fin dai loro primi incontri”.

Una grande emozione per la piccola Marella osservare la bella calligrafia regolare di suo padre, allora giovane militare nel Genova Cavalleria, dal viso di ragazzo. Filippo aveva conosciuto Margaret quando aveva compiuto diciotto anni, lei era più grande del suo spasimante che considerava con tenerezza come un ragazzino. Tanto più Margaret era lontana, la ragazza viaggiava spesso con la madre o con Mary la sua sorellastra, o se presente inaccessibile, tanto più Filippo si innamorava.“Il desiderio contrastato crea la passione”. Un matrimonio quello tra Filippo e Margaret appassionato e tormentato “Però non si lasciarono mai”.

L’onda dei ricordi fa riemergere dal passato i luoghi dell’anima, il Castello di Ratzötz, a Millan, frazione di Bressanone in Alto-Adige, la Turchia, Napoli, Roma e la Svizzera.

Le tendine poggiate sui vetri e i gerani delle stanze dell’Hotel Elephant di Bressanone (ancora oggi icona dell’Haute Hotellerie sud tirolese) simbolo della dolcezza della Valle dell’Isarco alla confluenza con la Rienza; la carrozzabile verso la Plose, l’inimitabile odore di legno della vicina segheria di Novacella, la mitica pasticceria Moser sotto i Portici.

E poi la Turchia, l’avventura del viaggio sull’Orient Express accompagnato da un branco di lupi famelici, Ankara e l’aria secca dell’altopiano, la prima volta a Santa Sofia, la casa estiva sulle rive del Bosforo, il profumo dei gelsomini doppi…

Per passare poi in Svizzera, durante gli anni cruciali del Secondo Conflitto Mondiale, quando la Casa di Roncaccio apre le porte ai molti esuli italiani (compreso Ugo La Malfa improbabile insegnante di Educazione Fisica) e il fratello Carlo decide di unirsi alla lotta partigiana.

A Roma, infine, quando Marella ha diciotto anni, in case “normali”, Via Panama, Via delle Tre Madonne, tra balli  e debutti in società molto parsimoniosi, si tenta di tornare alla vita di tutti i giorni, con abiti prestati da generose Maison (Gabriella Di Robilant) che “investono” così in Cenerentole blasonate che, si spera, un domani diventino affezionate clienti.

Donna Marella Agnelli

Un libro che si legge con estremo interesse e sincero trasporto, per anni e atmosfere di un’Italia ormai scomparsa per sempre, dove certo non contava solo l’avere, ma l’essere, anche a dispetto dei tragici avvenimenti di tempi lontani anni luce dai nostri.

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