Libri

“Prima Repubblica, una storia di frontiere” di Rino Formica

Il libro di Rino Formica è una storia politica, non una biografia. A volte la storia politica di un personaggio, nel nostro caso Rino Formica, va oltre il racconto biografico, è piuttosto lo svolgersi di un
movimento di uomini e di idee. Il movimento e le idee sono quelle del socialismo italiano e, per dir meglio, del socialismo che si ricostruisce nell’immediato dopo-guerra e di quel gruppo dirigente che si raccoglie in quegli stessi anni attorno alla Federazione giovanile socialista. Una storia che da quella esperienza di gioventù e di entusiasmo antifascista, anti-totalitario e libertario si snoda fino ai giorni nostri.

La battaglia per l’autonomia del socialismo italiano

E’ una vicenda troppo lunga per essere riassunta, ma che può essere intesa nei suoi contorni essenziali se si comprende che quell’esperienza organizzata di gioventù socialista si definisce attorno a una categoria politica semplice e, allo stesso tempo, dirompente: l’autonomia del socialismo italiano dall’esperienza del “socialismo reale” e da quella conflittuale polarizzazione di realtà statuali che è il frutto amaro dei nuovi assetti del dopoguerra in Europa e nel mondo. La bandiera dell’autonomia guiderà Formica e
tutto il gruppo giovanile per l’intero periodo della vicenda socialista italiana. L’autonomia sarà difesa anche dalle insidie del “frontismo” interno al partito socialista, nelle forme dell’adesione critica alla scelta socialdemocratica di Saragat del 1947 e, in un quadro assai mutato, nella scelta del centro-sinistra che richiederà l’adeguamento organizzativo del PSI ai processi che si aprono nella realtà italiana.

Prima repubblica, una storia di frontiere, di Rino Formica e Marco Damilano

Formica guiderà questo processo di adeguamento come responsabile dell’organizzazione, con la sua relazione alla conferenza d’organizzazione del PSI di Firenze del 1975
segnerà il punto di svolta dal partito classista morandiano al partito che si apre a quei ceti sociali che premono per il cambiamento, per la modernizzazione del Paese. A Firenze
si prepara il partito per la svolta del Midas. L’autonomismo sarà ancora la chiave per inquadrare il nuovo corso socialista, per dare forza e radicare nel movimento operaio
quello specifico “riformismo” che sin da subito, sin dal rapimento di Aldo Moro nel quale i socialisti intravedono l’agitarsi di forze oscure, dovrà scontrarsi non solo con le forze moderate ma con la tradizione egemonica del PCI che nel revisionismo ideologico vede, addirittura, nuovi pericoli per la democrazia. Una democrazia insidiata non dalle “iniezioni” di revisionismo nella cultura della sinistra italiana, ma da quel compromesso ideologico che fu alla base del patto costituzionale.

Il nostro modello di democrazia sarà costretto a vivere e svilupparsi nelle strettoie e alle
condizioni della divisione del mondo in blocchi a cui corrisponderà, nel Paese, un ambiguo rapporto tra i due maggiori partiti, la DC e il PCI. Un rapporto mai del tutto compreso e condiviso dai protagonisti della scena internazionale, gli USA e l’URSS. “Sbloccare” la nostra democrazia, liberarla dalle maglie rigide del “patto di Yalta”, portare il revisionismo fin dentro l’area inviolabile del compromesso costituzionale, raccontare l’altra storia della democrazia italiana, la storia di un Paese di frontiera, con troppi confini “caldi” al cui
interno sopravvive un sistema che può darsi un avvenire di modernizzazione solo attraverso l’uso forte e consapevole di quella semplice e primordiale categoria, l’autonomia, da applicarsi in primo luogo nella sinistra.

Formica e il revisionismo post comunista e costituzionale

Non accadde neanche dopo l’89. Il revisionismo non fu ammesso nel post-comunismo italiano neppure quando la scomparsa dell’URSS creava di fatto le condizioni per l’autonomia dalle grandi potenze e un nuovo corso per l’intera sinistra italiana. Un altro revisionismo, quello costituzionale, che avrebbe assecondato il mutato scenario
internazionale con la riscrittura della nostra Carta fondamentale e con l’avvio di una nuova fase costituente non fu ammesso dal PSI, questa volta per il timore che forze “corsare” irrompessero nella cittadella della “prima repubblica” già sotto assedio e ne compromettessero la “governabilità”.

Formica tiene entrambi i fronti del revisionismo, politico-ideale e costituzionale, e il racconto è utile ricostruzione di fatti e vicende e getta luce sui chiaroscuri
dell’attuale crisi nazionale. La rottura dei due “fronti”, per Formica, spiega la cronaca
politica degli ultimi tempi: partiti veri che scompaiono e partiti di carta che s’affacciano, classi dirigenti che impoveriscono e altre che s’improvvisano, dentro una realtà
sempre più intercomunicante con l’esterno e una società politica sempre più destrutturata e dominata da emozioni collettive da catturare con i tecnicismi, anche elettorali.

Non avere abbandonato la bandiera dell’autonomismo socialista, al contrario, portarla sempre nelle battaglie politiche e culturali ha consentito a Formica il racconto di
una storia “spezzata”, del paese e della sinistra.

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