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“Quando la monnezza diventa grande”, intervista a Marco Serafini autore del libro

Abbiamo intervistato Marco Serafini, autore de “Quando la monnezza diventa grande” – Il caso di Civita Castellana – un libro di sociologia essenziale a conforto del cittadino sofferente e dell’amministratore consapevole. L’opera è infatti destinata ai cittadini, ma anche agli amministratori ed a tutti coloro che hanno a cuore la propria città. Il fatto che si sia preso spunto dal caso di Civita Castellana serve solo all’autore per inquadrare luoghi, circostanze, fatti, eventi, e rendere la trattazione ancor più veritiera.

Come nasce l’idea del libro?

Un giorno ho discusso animatamente con un signore che buttava la sua mondezza  a “cazzo di cane” sotto casa mia. Alla fine, dopo che il signore se ne è andato via, una ragazzina mi si è avvicinata e mi ha detto: “Ha fatto bene a dire le cose, io li vedo spesso. Ma Lei è grande e grosso, per Lei è più facile”. Ecco lì ho sentito che dovevo fare e dire qualcosa. Anche perchè certe volte pure io mi sento piccolo piccolo. Ma fare cosa? E dire cosa? A chi e come? Ecco forse un libro….

Altruismo, dunque. Senso civico anche?

Mbeh, si. Ma non solo. Questo libro risponde anche e soprattutto ad una mia esigenza personale, quella di cercare di capire le cause delle cose che mi fanno male dentro, l’origine di rabbia, tristezza e dolore. È un mio modo per soffrire di meno, per vedere le cose in modo diverso, per cercare saggezza, per tentare di accettare o cambiare le cose. Così ho cominciato a pensare alla mondezza, che è una di queste. Ma quello che sapevo non mi bastava. Allora mi sono messo a leggere e studiare. Ma non sapevo cosa. Un giorno sono andato al festival della sociologia a Narni e lì una mia amica mi ha suggerito di provare con la sociologia. Sociologia e mondezza: m’è sembrato convincente. E più leggevo e più la sociologia sembrava convincente anche a me, come spiegazione e come soluzione. E leggendo mi sono accorto di una cosa.

Quale?

Io certe cose di sociologia, non tutte, già le sapevo, le avevo lette, studiate e apprese molto tempo fa, ma preso da tante cose me le ero dimenticate, non gli avevo dato l’importanza che meritavano. Più o meno è la stessa cosa che succede alle persone che buttano la mondezza “a cazzo di cane”. Sanno cosa devono fare, lo hanno imparato molto tempo fa, ma, presi da tante cose, se lo sono dimenticato. Mi sono detto anche: le cose importanti che uno sa e poi si dimentica… bisogna trovare il modo di non ripetere l’errore. Meglio dirle, ripeterle, ascoltarle ancora, meglio scriverle, meglio rileggerle.

Ecco appunto. Perchè uno dovrebbe leggere il tuo libro?

Ci si potrebbe scrivere un altro libro sopra e diverso. Anzi, no. Forse quello l’hanno già scritto. Aspetta che lo prendo e te ne leggo un passo. E’ ne “Le città invisibili” di Italo Calvino. Dice così. “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: esige cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio”.

Bello e denso. Per te cosa significa e che legame c’è con la mondezza e con il tuo libro?

Provo a sintetizzare. Io vivo e lavoro all’estero, ma sono cresciuto a Civita Castellana e ci torno ogni volta che posso, perchè ho i parenti, gli amici e le radici qui. E perchè mi piace. Nel 2021 ho potuto telelavorare da Civita e l’ho fatto. Ma questa volta, a differenza di altre, le emozioni che ho provato stando qui sono state diverse. Ho trovato degrado umano, sociale e urbano. E pure tanta mondezza, a livelli per me spaventosi e, cosa più preoccupante, crescenti. Passeggiare per il paese, vederlo ridotto così mi faceva  soffrire, non  lo riconoscevo più.

Quindi?

Io sentivo rabbia, tristezza e dolore, ne sentivo intorno a me, ma intorno percepivo anche stanchezza rassegnazione. A volte, mi sembrava che certe persone, io per primo, invece di riflettere, discutere, approfondire, facessero di tutto per non vedere, per non pensarci, riempiendosi la vita e la giornata di altro. Allora mi sono detto: è una forma di autodifesa, d’altronde uno mica può vivere triste e incazzato tutto il tempo. Ma non va bene così: è come lo struzzo che nasconde la testa sotto terra per non vedere quello che c’è attorno; non è utile, non è sano. Tornare a vedere, tornare a soffrire, tornare ad approfondire e a discutere mi è parso rischioso e difficile, come dice Calvino, ma necessario. Necessario per contrastare la mondezza, per reagire, per durare, anzi meglio, per rinascere. Cosa che a questo paese è capitato molteplici volte nella sua storia. 

Quindi?

Quindi Leggendo possiamo tornare a vedere la mondezza, possiamo trasformare la rabbia e la sofferenza in conoscenza. E la conoscenza possiamo trasformarla in idee, in parole, in gesti, in impegno. E poi l’impegno possiamo trasformarlo in cambiamento. È una catena lunga, tutti possiamo e dobbiamo contribuire. E non possiamo delegare tutto al Comune. È il paese nella sua totalità che si deve mettere in moto.  Si tratta di riaccendere il motore. Leggere il libro è uno dei modi possibili per farlo.

Il paese, il paese, ma tu adesso nemmeno ci sei. Dove sei a proposito?

In Grecia.

Bella la Grecia. C’è il mare. C’è anche la mondezza?

Vieni a vedere tu stesso. Dalla Grecia si vedono cose di Civita che a Civita è più difficile vedere. Da qui si vede il filo rosso che l’ha tenuta insieme per tremila anni. Si vedono ancora le cose sacre di Giunone, quelle che Aleso, venendo dalla Grecia, insegnò ai Falisci che poi saremmo noi. Si vede la rinascita con le influenze greche, quella a Falerii novi dopo la conquista romana, quella del mille, quella del rinascimento, quelle dopo le guerre mondiali, quella dei soci operai, quella della globalizzazione. Si vede un piccolo paesino di provincia, testardo e dignitoso, che tenta continuamente di imparare, di evolversi e di innovare, ma rimanendo fedele alla sua storia e al suo paesaggio.  Si vedono ancora la terra e la natura: preservate il più possibile e trattate con cura rispetto e attenzione. Si vedono argilla, tufo e campi che fanno parte del paesaggio naturale e con cui però si sono costruite le case, fatta la ceramica, e dato da mangiare ai bambini per millenni. Si vedono le forre e le macchie, le rocce appuntite, ma anche le forme tonde e rassicuranti delle ceramiche, degli archi, dei capitelli e delle cupole. Si vede il paesaggio e la città come risorsa, come casa, come sostentamento materiale e spirituale. Li si vede usati, sviluppati, goduti e vissuti, ma  senza massacrarli e mantenendoli anzi il più possibile. Dalla Grecia si vede tutto questo e molto di più: si vedono persino le piazze, le strade, i fossi, i boschi e le vie sacre, in cui si scendeva per giocare, passeggiare, parlare, pregare, fare merenda e ritrovarsi comunità. Tu che stai lì, ce la fai vedere tutto questo?

Si, qualcosa riesco a vedere.

Bene. Quello non è inferno, quello siamo noi, diamogli spazio, facciamolo durare. Per farlo, bisogna ridurre la monnezza. E per ridurre la mondezza bisogna tornare a vederla, bisogna capirla e parlarne. Io ho provato a farlo, a modo mio.

Ho capito. Grazie.

Il libro è disponibile su Amazon, al costo di € 5,00.

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