Claudio Bagnasco, genovese classe 1975, con il suo ultimo libro, Runningsofia. Filosofia della corsa, è riuscito a coniugare le sue due grandi passioni: la scrittura e il podismo.
Con dedizione e tenacia alimenta entrambe: ha pubblicato saggi di linguistica, racconti, brani di poetica, nel 2010 è uscito il suo romanzo Silvia che seppellisce i morti (Il Maestrale, 2010), l’anno dopo pubblica una raccolta di racconti In un corpo solo. Ha curato il volume Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi (Il Canneto, 2013). Il 2019 è anche l’anno della pubblicazione del suo ultimo romanzo Gli inseguiti edito da CartaCanta. Sulla rete lo troviamo con il blog letterario Squadernauti e come nostro collaboratore sul magazine di Moondo, Mondo Sport.
Allo stesso tempo si dedica e pratica la corsa, disciplina a lui molto cara che lo ha spinto a renderle omaggio con il suo ultimo saggio Runningsofia. Filosofia della corsa (ad link) edito da Il Nuovo Melangolo, pubblicato lo scorso 31 ottobre.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con l’autore, di seguito la nostra intervista.
Se la filosofia è, per andare un po’ per le spicce, quell’attività che fornisce un’interpretazione del mondo, – e quindi un modo di abitarlo – allora il running (anche se chi mi conosce sa che preferisco adoperare l’italiano e dire il podismo o la corsa) può somigliare non poco a una filosofia. Perché disciplina l’esistenza e, come scrivo nel libro, dà a essa una direzione, dal punto di vista sia concreto che metaforico.
Molti, troppi podisti affermano un po’ enfaticamente che la corsa mi ha cambiato la vita, ma di certo chi pratica il podismo con continuità e passione, e soprattutto facendo sì che la corsa entri a far parte in modo naturale della propria esistenza, riceve insegnamenti indispensabili: impara a programmare, a posticipare il piacere, a non rifuggire la solitudine e la fatica, ad accettare senza drammi le sconfitte e a relativizzare le vittorie.
Mi fa paura l’idea che scrivendo un libro si mandi un messaggio. Ma forse in effetti è così, e a schermirsi si rischia di apparire snob o impreparati. Ti rispondo in questo modo: con l’editore c’è stata una cavalleresca battaglia sul titolo; io inizialmente avrei optato per il più serioso Pratica e mistica della corsa, che dà conto delle due parti in cui l’opera è suddivisa. Premesso che dal punto di vista della commestibilità devo dare ragione all’editore (Runningsofia è decisamente più sexy di Pratica e mistica della corsa), le due parti del libro identificano ciascuna un lettore tipo e, forse, un… ma sì, mi arrendo, un messaggio.
La prima parte, La pratica della corsa, ha un taglio manualistico, e spero faccia innamorare di questo splendido sport chi ancora non lo pratica o chi sta iniziando a praticarlo. La seconda parte, La mistica della corsa, si rivolge a chi corre, specie sulle lunghe distanze, e vuole restituire a parole quel ventaglio di sensazioni ineffabili che colgono il corridore al culmine della fatica. Sensazioni fortissime e contraddittorie, di certo impossibili da esperire nella quotidianità, che infatti danno alla corsa il ruolo di varco verso l’altrove, noi così abituati a fare, produrre risultati, produrre senso; noi così pervicacemente inseriti in tutti questi meccanismi causali e funzionali.
Ho già risposto parzialmente alla domanda. Ma se dovessi dire a chi spero che il libro possa piacere, oltre alle categorie del podista reale e del podista potenziale, me ne viene in mente una terza. Rappresentata da coloro i quali, parafrasando (ma non troppo) il poeta Cesare Viviani, credono all’invisibile. I taciturni, gli artigiani, i viaggiatori, i timidi, i musicisti, gli alcolizzati, i polemici, gli imperdonabili (nel senso che dà alla parola Cristina Campo, va da sé)… insomma tutti coloro che, insofferenti alle regole del mondo – che in realtà sono tutt’altro che regole del mondo: sono regole create ad arte dall’uomo per conformarsi alla superficie del mondo – sentono il bisogno incoercibile di andare un po’ più in là. Ebbene sì: anche il corridore rientra a pieno titolo in questa eterogenea categoria.
È scandaloso citarsi? Sì? Corro il rischio e lo faccio ugualmente, riportando le due frasi di Runningsofia che campeggiano in quarta di copertina:
“Correre è esporsi al caldo, al freddo, alla sete, alla fame, alla stanchezza, al dolore, è esercitare il diritto e il dovere di vivere nella maniera più piena e profonda. Di vivere in maniera coraggiosa.
Correndo dismettiamo il nostro ruolo sociale, con tutta la sua teoria di obblighi e rituali, per riscoprire l’appartenenza al regno animale. E non è davvero cosa di poco valore ricordarsi – anzi, provare sul proprio corpo – che siamo anche e soprattutto altro, essenzialmente altro, rispetto al compagno premuroso, al genitore comprensivo, al lavoratore esemplare, al consumatore informato che ogni giorno mostriamo di essere.”
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