E’ innegabile che Giuseppe Verdi (1813-1901) abbia vissuto a cavallo tra due mondi: quello musicale e quello rurale, apparentemente lontani ma che sembrano, grazie all’opera del grande Maestro, trovare una complicità inaspettata e un’ispirazione reciproca.
Verdi fu di fatto un abile imprenditore agricolo e utilizzò molti dei suoi guadagni per acquistare ampi fondi e terreni nel territorio nativo, tra le province di Parma e Piacenza.
Spesso decise anche di dirigere in prima persona e in modo innovativo i propri fondi.
In una lettera che Giuseppina Strepponi inviata all’editore francese del Maestro, Léon Escudier, raccontava: “Il suo amore per la campagna è diventato mania, follia, rabbia, furore, tutto ciò che554r344r4rrr4 voi volete di più esagerato. Si alza quasi allo spuntar del giorno per andare ad esaminare il grano, il mais, la vigna. Rientra rotto di fatica.”
Verdi amava immensamente la sua terra e non perdeva occasione per farci ritorno. Da essa infatti traeva ispirazione creativa e conforto.
A questo riguardo, sempre lo storico Corrado Mingardi scrive: “La ricchezza di Verdi, il quale ha le radici familiari nella civiltà contadina, nei suoi valori di positività e tradizione, fu soprattutto rappresentata dal possesso terriero. In lui, accanto all’amore istintivo alla natura, per altro inamena della sua terra, la Bassa lambita dal Po (“E’ impossibile trovare località più brutta di questa, ma d’altronde è impossibile che io trovi per me ove vivere con maggiore libertà” confessò il Maestro nel 1858), gioca l’aspirazione al passaggio dal ruolo di piccoli proprietari – tali sono stati i Verdi fin dalle origini – al ruolo spettante solitamente all’aristocrazia terriera” (2001).
Nel cuore delle lussureggianti Terre Verdiane sorge Busseto (PR), un gioiello culturale e musicale, dove Giuseppe Verdi nacque in Località Roncole il 10 ottobre del 1813.
Qui tutto richiama le gesta del celebre compositore, a partire dal Teatro Verdi, un teatro ottocentesco situato nella nella Rocca (già Castello dei Pallavicino) inaugurato proprio nel 1868 in onore del Maestro, che tuttavia non ci mise mai piede.
La sala, splendidamente conservata, offre un assaggio dell’atmosfera teatrale di quei tempi e costituisce un importante tassello della storia musicale di Busseto.
Proprio di fronte al teatro si trova il Museo Casa Barezzi, dove un giovane Verdi crebbe al cospetto del suo mentore: Alberto Barezzi, un uomo che aveva intuito l’enorme potenziale del musicista contribuendo alla sua formazione ed ascesa.
Il cuore pulsante di Busseto, Piazza Verdi, è un altro luogo legato al musicista. Qui troverete anche una statua dedicata al compositore, a testimonianza del legame profondo tra Verdi e la città.
Altri punti di interesse storico sono la Chiesa di San Michele Arcangelo situata nel centro di Busseto (Verdi stesso partecipò alla costruzione di un organo per questa chiesa) e Palazzo Orlandi, anch’esso dimora del compositore per qualche anno e oggi sede della Biblioteca Comunale e dell’Archivio Storico di Busseto.
A pochi metri dalla Casa Natale di Verdi, sempre alle Roncole, nei locali dell’ex Ristorante Guareschi, fatto costruire dallo scrittore Giovanni Guareschi (1908-1968) nel 1957 e chiuso nel 1993, si trovano oggi l’Archivio Guareschi e la sede del Club dei Ventitré, un’associazione culturale fondata dai figli Carlotta e Alberto che nel nome fa riferimento ai presunti ventitré lettori a cui si rivolgeva lo scrittore. L’archivio consta di oltre 200.000 documenti, messi a disposizione anche dai figli di Guareschi, tra cui la sua biblioteca, e organizza attività culturali come mostre e la pubblicazione di un quadrimestrale, “Il Fogliaccio”.
Nello stesso spazio si trova anche una sala che ospita mostre sullo scrittore.
Il 24 settembre u.s. sono iniziate in Emilia-Romagna le riprese del film tv Rai “Giovannino Guareschi – Non muoio neanche se mi ammazzano”, la prima fiction sulla vita del celebre scrittore emiliano, prodotta da Anele in collaborazione con Rai Fiction, con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission, per la regia di Andrea Porporati.
Il film-con Giuseppe Zeno protagonista nel ruolo di Giovannino Guareschi, Benedetta Cimatti in quello dell’amata moglie Ennia, Andrea Roncato nei panni del padre Primo Augusto Guareschi, Maurizio Donadoni nel ruolo di Angelo Rizzoli e Salvatore Striano a interpretare il produttore cinematografico Peppino Amato-racconta gli alti e bassi della vita di uno scrittore tra i più noti della narrativa italiana e tra i più venduti nel mondo con oltre 20 milioni di copie in 142 lingue.
Una figura cardine della cultura e della letteratura italiana che, con il suo sguardo di uomo libero, ha saputo catturare la realtà che lo circondava dando vita-in pagine piene di disegni e parole-a personaggi memorabili, tra cui i famosissimi Don Camillo e Peppone, e che, per lo spiccato tono ironico e irriverente, si è spesso scontrato con le istituzioni e non solo.
Uomo volitivo, coerente, poco incline al compromesso, Giovannino Guareschi criticò il nazifascismo, rifiutandosi di combattere nella Repubblica Sociale e venendo per questo deportato in un campo di prigionia tedesco. Fu avversario anche della cultura del comunismo sovietico, come di quella del consumismo capitalistico americano, restando sempre fedele ai suoi ideali.
Ma torniamo ai giorni nostri: dal 1 novembre u.s. è iniziata l’edizione numero 22° di Novemnber Porc, edizione della staffetta più golosa d’Italia, che si concluderà a fine mese.
Conservando la sua natura accattivante e divertente che, nel tempo, l’ha fatta diventare uno dei più apprezzati eventi mondiale dedicato al maiale e ai suoi prodotti, e, al tempo stesso, rinnovandosi con un mercato sempre ricco di nuove eccellenze agroalimentari.
La proposta di sapori e profumi prelibati darà colore e allegria ai fine settimana di novembre:
si inizia a Sissa (1, 2, 3 novembre), si prosegue a Polesine Parmense (8, 9, 10 novembre), per spostarsi a Zibello (15, 16, 17 novembre, date del nostro Educational) e concludersi a Roccabianca (22, 23, 24 novembre).
November Porc 2024 è anche un’importante occasione di valorizzazione e promozione del territorio della Bassa Parmense, perché non esistono altri eventi simili, espressione di una zona in cui vi è una concentrazione di grandi eccellenze: Culatello di Zibello DOP, Spalla Cotta di San Secondo e Spalla cruda di Palasone, a cui si affiancano il Parmigiano Reggiano e il Fortana del Taro IGT, tanto per ricordarne alcuni.
Le scorse edizioni hanno raggiunto i 256 mila visitatori, a dimostrazione che la rassegna porta flussi turistici di grandi dimensioni, “numeri” che sono stati guadagnati anno dopo anno, con la crescita della proposta, la serietà degli espositori e la professionalità di centinaia di volontari.
Gli ultimi anni inoltre hanno registrato una grande attenzione anche da parte di visitatori stranieri (Svizzera, Inghilterra, USA, Germania, Francia, Spagna, Romania, Olanda, Belgio, Austria e Giappone).
Ma un tour nelle Terre Verdiane dovrebbe includere anche una visita a Villa Verdi di Sant’Agata.
Immersa nell’incantevole paesaggio delle Terre Verdiane, Villa Verdi è un gioiello architettonico e culturale che incarna l’eredità e il legame intimo tra Giuseppe Verdi e la campagna emiliana.
Questa villa di campagna, situata a Sant’Agata, nei pressi di Busseto, rappresenta un luogo di ispirazione e creazione per uno dei più grandi compositori della storia della musica, che qui visse per più di cinquant’anni con Giuseppina Strepponi.
Villa Verdi fu acquisita da Giuseppe Verdi nel 1848, divenendo un rifugio amato e un luogo di ritiro dalla frenesia della vita cittadina. Circondata da giardini lussureggianti e paesaggi sereni, la villa offriva a Verdi l’ambiente ideale per comporre e riflettere. Qui, tra le mura di questa dimora elegante, nacquero alcune delle opere più celebri del compositore, come “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La forza del destino”.
La sua villa di Sant’Agata di Piacenza, oggi forziere di documenti del Risorgimento, ricordi, quadri, libri, spartiti, appunti personali, da due anni è chiusa e rischia di andare in rovina perché al centro di una ingarbugliata controversia giudiziaria iniziata fra quattro pronipoti (una nel frattempo è deceduta) e oggi fra gli Eredi stessi e il Ministero della Cultura.
I visitatori non possono esplorare gli interni della villa, ammirare gli oggetti appartenuti a Verdi e immergersi nella storia e nell’eredità di questo grande compositore. Di notevole bellezza i suoi giardini impreziositi con alberi secolari e grotte artificiali.
Oltre a documentarne l’attività di compositore ed evocare il genio del grande musicista italiano, Villa Verdi si prefigge di mettere in luce l’uomo, nella sua vita quotidiana e nelle sue passioni autentiche. Dopo aver vissuto a Vienna, Londra e Parigi, spinto dal desiderio di tornare nei luoghi che lo avevano visto crescere, Giuseppe Verdi acquista quella che diventerà la sua dimora preferita: la tenuta Sant’Agata, ampliata e sistemata nel 1849 dal Maestro, che qui abitò con la seconda moglie, la celebre cantante lirica Giuseppina Strepponi.
Finchè la Villa rimase aperta al pubblico, un percorso museale si snodava solo in una parte dell’edificio, attraversando la stanza della Strepponi, con gli arredi originali, lo spogliatoio della cantante, la camera da letto-studio di Verdi, con, e altre due sale, nelle quali si conservano documenti, fotografie, copie di opere verdiane e l’arredo della camera da letto del Grand Hotel di Milano dove il musicista morì.
La villa è circondata da un grande parco progettato dal compositore e fa parte di un itinerario verdiano che ha altre tappe a Roncole e a Busseto.
Le stanze visitabili erano quelle abitate dal musicista e dalla moglie. Lo spogliatoio della consorte contiene, oltre alla toilette e all’armadio con i vestiti, un piano a sei pedali marca Fritz usato dal compositore negli anni che vanno da Rigoletto a Aida.
Sotto il pianoforte è posto un baule con gli effetti personali e la partitura de La forza del destino. Nella stanza adiacente, adibita dalla Strepponi a camera da letto fanno mostra di sé il letto con baldacchino in stile genovese, il reliquiario, i mobili intarsiati, i quadri della scuola del Correggio la signora amava. Giuseppina Strepponi si spense in questa stanza il 14 novembre 1897.
La camera dove dormiva e lavorava Verdi è senza dubbio quella più suggestiva, con lo scrittoio sul quale il Maestro componeva, il letto a baldacchino, il pianoforte, libri e il busto-ritratto in terracotta eseguito da Vincenzo Gemito a Napoli nel 1872, già sistemato nel parco della villa.
Particolarmente evocativa la teca ove si conservano i guanti utilizzati in occasione della direzione della Messa di Requiem a Milano il 22 maggio del 1874, in memoria di Alessandro Manzoni, al quale il Maestro era legato da profonda ammirazione e amicizia. Nello studio figurano spartiti e scritti verdiani, ma anche di altri musicisti come Bach, Mozart, Haydn e Beethoven, la cappelliera con il suo cilindro e altri documenti che riguardano la vita politica del musicista che fu Deputato e Senatore del Regno d’Italia.
E a tal proposito, segnalo la pubblicazione dell’interessante libro di Michele Nitti-direttore d’Orchestra e Deputato della Repubblica Italiana, è titolare della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione presso la Camera dei Deputati–“Verdi. Diario dell’attività parlamentare”, Manzoni Editore 2022, in occasione delle ricorrenza dei 150 anni della nomina di Giuseppe Verdi a Senatore a vita del Regno d’Italia. Libro al quale l’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini dedica una prefazione di sintesi dalla quale già emerge la complessità di quello che Nitti nel primo capitolo del libro definisce “il Musicista più incompreso del mondo”, complessità che l’autore in quest’opera rara ci aiuta però a capire attraverso l’attenta analisi e l’accurato studio dei passaggi più significativi della vita politica di Verdi. Il commovente e patriottico messaggio conclusivo che questo libbro ci offre è quello di un Verdi in cui “l’amore per l’Italia rimane probabilmente il contributo più importante che il Maestro ci ha consegnato come uomo, come artista, come parlamentare”, così come stigmatizzato dai versi di Gabriele d’Annuzio
“Ci nutrimmo di lui come dell’aria/libera ed infinita/che dà la terra tutti i suoi sapori.
La bellezza e la forza di sua vita/che parve solitaria/furon come su noi cieli cnori”.
Diede una voce alle speranze e ai lutti, pianse ed amò per tutti”.
Infine la camera dell’Hotel de Milan, l’albergo milanese dove Verdi spirò all’alba del 27 gennaio 1901 i cui arredi furono trasportati presso la villa. Se il sommo Maestro Giuseppe Verdi potesse tornare in vita, lui schivo e riservato ma focoso di carattere, fulminerebbe qualcuno con quel suo sguardo severo incorniciato dalla barba bianca.
La sua villa di Sant’Agata di Piacenza, oggi forziere di documenti del Risorgimento, ricordi, quadri, libri, spartiti, appunti personali, da due anni è chiusa e rischia di andare in rovina perché al centro di una ingarbugliata controversia giudiziaria iniziata fra quattro pronipoti (una nel frattempo è deceduta) e oggi fra gli eredi stessi e il ministero dei beni culturali.
La villa custodisce un patrimonio storico che non deve andare perduto. C’è perfino la prima versione dei Promessi Sposi autografata con dedica da Alessandro Manzoni e donata all’amico Giuseppe Verdi.
Il Ministero della Cultura, gestione Gennaro Sangiuliano, in un primo tempo aveva promesso l’acquisto per una cifra intorno ai venti milioni trattabili, poi nella primavera scorsa ha fatto dietrofront con giravolta e senza preavviso ha avviato una procedura di esproprio dopo una dichiarazione di “pubblica utilità” in cambio di 6-7 milioni. Gli eredi ovviamente sono rimasti di stucco, per non dire altro. E pensare che il Tribunale di Parma nel primo capitolo della telenovela, cioè la disputa fra i pronipoti, mise all’asta il compendio verdiano per 30 milioni.
Ora la faccenda si complica ancora, perché i tre pronipoti più il consorte di una di essi, deceduta, hanno fatto ricorso al Tar per bloccare quello che ritengono un voltafaccia e lanciano un appello al neo ministro Alessandro Giuli per trovare un accordo.
È la via maestra per far sì che la villa possa tornare visitabile senza finire in malora. Ludovica Carrara Verdi, psicologa, e pronipote del Maestro più che arrabbiata è amareggiata.
Ma non rassegnata. “Ci chiediamo il perché di un cambio così repentino di atteggiamento da parte del ministero dopo le precedenti promesse, data la disponibilità di noi eredi a trovare un accordo onorevole, anche sotto i 30 milioni. Pazienza”.
La disputa di Villa Verdi esplode nel 2001 quando muore il nipote del Maestro, Alberto Carrara Verdi. Un’ eredità così ingombrante spacca in due la famiglia e parte il braccio di ferro legale tra i figli: Maria Mercedes, Angiolo, Emanuela, alla quale subentra come erede il marito Fabio Mezzadri, e Ludovica. Dopo incontri, scontri, interventi di legali e commercialisti con perizie al seguito l’ultima parola la dice il Tribunale di Parma.
Spiega Ludovica: “Il giudice ha stabilito che il bene debba essere diviso fra noi fratelli. Ma dato che i beni sono indivisibili ha certificato lo scioglimento della comunione ereditaria e la conseguente vendita all’asta affidandola all’Istituto vendite giudiziarie”.
Verdi è Verdi, passa il tempo, ma nessuno scuce un euro. La residenza però è un bene vincolato che ha necessità di essere tutelato e sottoposto a manutenzione. Servono centinaia di migliaia di euro non spiccioli. “Così nel 2015 viene stipulata una convenzione tra noi eredi e la Presidenza del consiglio dei ministri attraverso la quale lo Stato si impegnava a finanziare i lavori di restauro con un milione di euro. Ma non se n’è fatto nulla. Mistero”. Così la raccontano gli eredi. Ma la burocrazia è un diavoletto perverso. Infatti nel provvedimento di esproprio si citano come motivazioni lo stato di degrado dell’immobile e i mancati lavori di restauro. Che doveva fare lo Stato medesimo. Un cortocircuito? Non è chiaro cosa sia successo, fatto sta che, secondo la versione degli eredi del Maestro, lo Stato che doveva effettuare i lavori bacchetta i fratelli per non averli fatti. “Una presa di posizione che farebbe ridere se non facesse piangere”, dice Ludovica Carrara Verdi.
Mesi prima il ministro Sangiuliano aveva visitato il villone e ne era rimasto fulminato come Paolo sulla via di Damasco. Incontrò eredi e avvocati, lanciò l’idea di realizzare a Villa Verdi un polo culturale con una fondazione. Grande entusiasmo. Poi silenzio. “I contatti sono stati interrotti non per volontà nostra-spiega Ludovica Verdi Carrara-e nella primavera di quest’anno è arrivato l’atto di esproprio in cambio di una cifra ridicola”. Il ministro Gennaro Sangiuliano travolto dal caso Maria Rosaria Boccia ora è fuori gioco e la palla passa ad Alessandro Giuli. Di sicuro il Maestro Giuseppe Verdi lassù starà perdendo la pazienza.
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