Una missione archeologica italiana nel Kurdistan iracheno: scoperte, restauro e musealizzazione

Un giugno caldo come sempre nel Kurdistan iracheno dove nel 2006 una missione italiana arrivò per visitare, per comprendere, per trovare, per scoprire il grande patrimonio culturale, sconosciuto ai più e soprattutto mai considerato dai molti. Subito dopo la terza guerra del golfo, tra le prime missioni straniere a giungere in un territorio non facilmente accessibile e quasi inesplorato. A capo della missione il Prof. Carlo Giovanni Cereti, della Sapienza-Università di Roma, da sempre curioso e attento studioso di un’area che non può essere ristretta nei confini attuali. Così inizia la storia di un progetto che rappresenta il grande lavoro delle università, dell’archeologia e della diplomazia culturale italiana.

La missione archeologica italiana nel Kurdistan

Una galleria dedicata all’iscrizione e al monumento commemorativo del sovrano sasanide Narsete, risalente alla fine del III secolo d.C., è stata inaugurata lo scorso 10 giugno al Museo di Slemani, nel Kurdistan iracheno, nel quadro di un progetto promosso dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) ed eseguito dal dipartimento di Scienze dell’antichità dell’Università La Sapienza di Roma. L’iniziativa è frutto della sinergia tra un team di esperti italiani e le istituzioni curde e s’inscrive nel quadro del più ampio programma di scavi condotto dalla Sapienza sul sito di Paikuli, a metà strada tra l’odierno capoluogo della provincia di Sulaymaniyah e un’altra importante località archeologica come Qasr-e Shirin, in territorio iraniano. Il direttore della missione italiana, Carlo Giovanni Cereti, è professore ordinario di Filologia, religioni e storia dell’Iran presso il Dipartimento di Scienze dell’antichità della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza. “Dal punto di vista storico si tratta di un progetto importante. È il primo caso nell’Impero sasanide in cui vi è contestualità tra monumento e testo scritto”, così lo  spiega ad “Agenzia Nova”.

Sulla torre di Paikuli, Narsete fece incidere una lunga iscrizione bilingue in medio persiano e partico in memoria della sua vittoria su Bahram III, al termine di una guerra civile che gli permise di salire al trono dell’Impero sasanide. Si tratta di un documento che oggi è di inestimabile valore per gli studi di iranistica. “Il progetto di cooperazione è iniziato nel 2006. Siamo stati i primi ad arrivare in Kurdistan dopo la guerra e abbiamo anche portato avanti corsi di formazione per il Ministero curdo delle Antichità sia a Slemani che a Erbil”, ricorda Cereti. La missione è andata avanti nonostante le “molte interruzioni” per problemi di sicurezza e, in ultimo, per la crisi politica seguita al referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno del settembre del 2017.

“Una parte dei blocchi oggi esposti sono stati portati qui nel corso degli anni’ 90 dal personale del Museo, a questi si aggiungono quelli da noi recuperati nel corso delle varie campagne sul sito”. A parlare è Gianfilippo Terribili, docente alla Sapienza-Università di Roma e membro sin dal 2006 della missione.

“Un gruppo di esperti italiani ha lavorato al restauro delle superfici calcaree dei blocchi per rimuovere gli elementi depositati nel corso di quasi due millenni. A ciò è seguito il lavoro di studio filologico al fine di documentare, identificare e stabilire l’esatta collocazione di ogni blocco all’interno dell’iscrizione. Iscrizione  che è stata infine allestita in una nuova sala appositamente edificata ricostruendo la disposizione originale nelle due lingue: da un lato il partico e dall’altro il medio persiano.

“Siamo riusciti a rientrare nel giugno del 2018 – precisa Cereti ad Agenzia Nova- e l’ultima attività ci ha visto lavorare, a partire dalla scorsa primavera, sulla musealizzazione del monumento, con la realizzazione di una sala all’interno del museo di Slemani che oggi è il più grande in Iraq dopo quello di Baghdad”. All’inaugurazione hanno partecipato, tra gli altri, il direttore della sede Aics di Amman, Michele Morana, e il governatore di Sulaymaniyah, Haval Abubakr. L’auspicio, ora, è di “continuare a lavorare sia nel sito di Paikuli che nel Museo di Slemani”. “Abbiamo in previsione – spiega Cereti – di invitare il Direttore generale per le Antichità del Governo regionale curdo e i suoi collaboratori a Roma per una conferenza nella quale saranno lanciate le attività del prossimo anno”.

Ma la missione “ MAIKI” ha un’altra area di interesse nel Kurdistan è Erbil,la sua cittadella, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2012 , dal 2015 è luogo di indagine archeologica per gli italiani. Tra le altre attività , una grande rilevanza, ha l’attività di formazione del personale locale, sia a Sulaymaniyah che a Erbil. Per le autorità curde, la presenza della missione italiana, rappresenta moltissimo, non solo conservazione e restauro, ma fruibilità per studenti e visitatori, formazione e scambi, restituire identità e patrimonio culturale in una parte del mondo che ha vissuto non sempre momenti facili.

Nella regione che si estende tra le pendici dei Monti Zagros e le grandi pianure mesopotamiche, seguendo quella che è stata per secoli la strada regale che collegava l’altopiano iranico alle grandi capitali da Ctesifonte fino all’odierna Baghdad, una missione italiana racconta la storia di antiche civiltà scrivendo pagine di storia.

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