Claude Monet, per le cui opere attualmente si fanno file mostruose, è stato un pittore di panchina, un personaggio etichettato inconcludente perché l’Impressionismo era considerato fatuo.
Inutile prendersela con i Saloni Ufficiali che lo relegarono a tale ruolo. A discolpa delle incaute valutazioni che confezionarono, possiamo immaginare che, il suo modo di esprimersi nella pittura –tanto rivoluzionario per i tempi- non era così comprensibile come, invece, oggi.
Inseguiva le luci atmosferiche, come un folle, per catturare i chiaroscuri che erano nella sua testa. E non impelleva in lui l’urgenza di essere fedele alla Natura di fronte, lasciava agli altri artisti il compito di ritrarre un ponte, una nave, un giardino, lui ambiva a forgiare l’aria intorno. Era la sua impressione sulla fugacità dei contorni, così variabili a seconda della luce, a interessarlo. Era la difficolta di eseguire quel tipo di luce e farla propria a renderla necessaria al quadro e a sé stesso.
Questo modo diverso di raccontare gli ambienti lo ha reso inutile alla società che, invece, voleva si ritraesse quanto essa stessa percepiva e vedeva. Non qualcosa di sfumato, di rado.
Eppure, se si fosse fermato ad una percezione comune, non avrebbe reso al mondo un capolavoro dopo l’altro, una storia dopo l’altra. Tanta energia sarebbe rimasta strozzata dalla forma, dai giudizi degli altri e oggi le sue opere sarebbero desuete, non scalfirebbero l’emozione di generazioni più lontane da quelle a cui si rivolgeva nell’Ottocento.
Il suo calarsi nell’aria, en plein air, di fronte al mondo, lo rendeva meno schiavo di tanti concetti, regole. E quella sua devozione per le atmosfere variabili, che pure potevano sembrare delle catene, erano, anzi, una sfida e anche un sostegno contro la povertà, le vicissitudini familiari, l’incomprensione.
Claude Monet è, IL, pittore impressionista. È quel ragazzino che, ancora inesperto, vendeva agli angoli delle strade le caricature dei suoi vicini di casa. È quel talento che si trova mischiato tra le sue tempere sfumate.
60 opere di Monet
dal Musée Marmottan di Parigi
fino al 3 Giugno a Roma
nella sede del Complesso del Vittoriano – Ala Brasini
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