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Come funzionano i romanzi, la guida di James Wood

A oltre dieci anni dalla sua prima pubblicazione, Minimum Fax riporta in libreria Come funzionano i romanzi, il bel saggio sulle tecniche narrative di uno dei critici letterari contemporanei più autorevoli e riconosciuti, firma di punta del New Yorker, l’inglese di nascita e americano di adozione James Wood. Una nuova edizione, tradotta da Massimo Parizzi e Luca Briasco (che firmarono la traduzione anche della prima per Mondadori), rivista e aggiornata dal celebre critico con l’aggiunta di un capitolo e di diversi paragrafi con commenti ad alcuni importanti scrittori contemporanei (c’è anche la nostra Elena Ferrante, amatissima negli States).

Per dare una definizione di questo libro un buon punto di partenza ce lo fornisce il suo sottotitolo, Breve storia delle tecniche narrative per lettori e scrittori. Lo stesso autore ci indica il pubblico di riferimento, che non comprende quindi solo gli addetti ai lavori ma anche tutti quei lettori che desiderano andare oltre il campo opinabile del “mi piace/non mi piace” per analizzare in profondità i meccanismi di funzionamento di un romanzo e, magari, riuscire a comprendere le ragioni della sua grandezza. Per aiutare il lettore a cogliere sfumature e differenze nelle tecniche narrative, James Wood si serve di una enorme quantità di citazioni e di esempi con lo scopo di “mostrare, mostrare e mostrare ancora” come funziona il romanzo.

Il risultato è un saggio appetitoso, la cui lettura è resa agile dalla scrittura brillante e poco ingessata del suo autore e dalla suddivisione del testo in brevi e brevissimi paragrafi, come ad assecondare il fluire dei pensieri di chi scrive. Non un manuale di letteratura ma una storia delle tecniche narrative, definita breve non tanto per la lunghezza del libro in sé (274 pagine) ma per il suo focalizzarsi su un periodo ben definito della storia letteraria, quello della grande stagione del romanzo borghese e della sua crisi immediatamente successiva, ovvero l’Ottocento e il Novecento.

Come funzionano i romanzi (How Fiction Works) di James Wood, traduzione di Massimo Parizzi e Luca Briasco, 274 pag., 1° edizione Minimum Fax febbraio 2021

E qui entriamo nella sostanza analizzata da Wood, che nel tracciare questa storia non può prescindere dal tema centrale che anima da sempre la discussione sul romanzo e che ha generato una “tensione estetica” cruciale per chi si occupa di letteratura, ovvero il rapporto tra forma e contenuto. James Wood chiarisce la sua posizione nelle primissime pagine della prefazione di Come funzionano i romanzi criticando, non senza riconoscerne la grandezza, formalisti come Viktor Šklovskij e Roland Barthes (su quest’ultimo ritornerà spesso), ma prendendo allo stesso tempo le distanze dal realismo convenzionale, colpevole di far somigliare la scrittura a “un vecchio, orribile collegio che non ha mai trovato una ragione abbastanza forte per cambiare i propri regolamenti”.  

Non possiamo negare che viviamo nell’epoca della supremazia dei contenuti. A questo proposito, spostando per un attimo l’attenzione dalla letteratura al cinema, viene in mente il breve saggio di Martin Scorsese su Federico Fellini, pubblicato recentemente su Harper’s Magazine, in cui il regista di Taxi Driver tratteggia un quadro desolante dell’attuale situazione in cui verserebbe l’industria cinematografica, appiattita verso il basso sul minimo comune denominatore del contenuto. Scorsese se la prende con le piattaforme di streaming e sui loro algoritmi, che suggeriscono nuove visioni allo spettatore in base al genere o al contenuto di quanto già visto. In base a questa logica, afferma amaramente Scorsese, un film di David Lean sarebbe equiparabile a un video di gatti. Se il cinema è una forma d’arte, che fine ha fatto la “forma”?

Tornando alla narrativa bisogna ammettere che anche in questo campo, almeno in termini numerici, i contenuti stanno vincendo e il realismo commerciale, come spiega Wood, “ha monopolizzato il mercato, è divenuto il marchio più potente nel settore della narrativa”. L’esplosione del genere thriller passa da queste parti. Ma se non si può parlare di letteratura senza parlare di forma e di stile per James Wood è vero anche l’opposto, “per come comprendo io la letteratura – dice il critico – ogni questione è al tempo stesso morale e formale” e “tutti i maggiori realisti, da Jane Austen ad Alice Munro, sono al tempo stesso dei grandi formalisti”.

E allora come funzionano i romanzi? Wood non pretende di avere una spiegazione unica, non può esserci un solo metodo per analizzare un romanzo perché non c’è un solo tipo di narrativa, “la storia del romanzo – scrive – è una storia di eccezioni”. Il critico si limita quindi a mettere sotto i nostri occhi frammenti di romanzi, la descrizione di un istante, l’introduzione di un personaggio, la scelta della metafora più efficace, facendoci notare come “la perfetta collocazione del verbo o dell’aggettivo giusti sigilli una frase con definitività matematica”. La storia del romanzo è anche la storia di una consapevolezza tecnica che diviene sempre più marcata nel romanziere moderno. In questo senso, Wood ci dice che “è possibile raccontare la storia del romanzo come lo sviluppo dello stile indiretto libero”. Il “problema” dello stile fa emergere la tensione tra l’autore e il suo personaggio.

Cosa appartiene all’autore e cosa invece al suo personaggio? Può veramente esistere lo scrittore onnisciente? L’autorialità dello stile non svela già l’artificio della costruzione? Dilemmi di difficile soluzione “la cosa è vecchia quanto la letteratura”. Tutto si regge su un difficile equilibrio, e su questo filo sottilissimo camminano funamboli sapienti e imprescindibili come Flaubert. Al romanziere francese dell’Educazione sentimentale e Madame Bovary James Wood dedica due capitoli di Come funzionano i romanzi, ma la sua presenza è ovunque nel libro perché è a lui che si deve la creazione di quelle regole che hanno dato vita alla narrazione realista moderna, in primo luogo l’attenzione per il dettaglio, “quel gusto di notare e rinotare, quel gusto per la novità e la stranezza, caratteristico dei romanzieri moderni”.

Quando parla di dettagli Wood usa la parola “ecceità”, presa in prestito dal teologo medievale Duns Scoto, ovvero la forma individuante. L’ecceità è il “verde Kendall” nell’Enrico IV di Shakespeare o gli “scarpini di seta” di Emma Bovary. Spesso è qualcosa di materiale, di tangibile, oppure un aneddoto raccontato da un personaggio, un dettaglio che in una sola immagine “coglie d’un colpo una verità umana di fondo”. È ciò che rende un momento, un ricordo, un’azione, un personaggio, una certa cosa anziché un’altra, ne determina l’unicità, l’essenza, e ci aiuta a distinguere il grande romanziere dalla folla.

Parlando di Flaubert si torna a toccare il tema del rapporto tra forma e contenuto: lo scrittore sognava di scrivere un romanzo “sul nulla”, in grado di reggersi solo sullo stile, ovvero ciò che Barthes pensava fosse la natura di un’opera di finzione, vale a dire puro linguaggio “l’avventura del linguaggio”. Eppure Flaubert è un realista. E così in lui si manifesta il dissidio, la tensione, perché il realismo, dice Wood, è “al tempo stesso autentico e artificioso”. L’arte seleziona e operando questa selezione si allontana dalla mera riproduzione della realtà, può anche smettere di essere veritiera, ma riuscire a cogliere comunque la verità.

Se la storia del romanzo passa per lo sviluppo della tecnica narrativa è anche vero che lo stesso progresso tecnico viene spinto dalla crescente complessità dell’io nei personaggi narrati. Le figure non seguono più quella netta suddivisione tra bene e male, tra buoni e cattivi, contengono entrambi gli aspetti, diventano meno stabili e la forma con essi. Siamo passati da Dickens a Dostoevskij, il più grande analista del tormento psicologico. “Il modernismo – scrive Wood – è nato dalla consapevolezza che, essendo cambiata la realtà, dovesse cambiare anche la forma delle storie che raccontiamo sulla realtà”. Le grandi tragedie del Novecento si riflettono nella forma, la parola diventa frammentata, si svuota di senso, pensiamo a Joyce o a Beckett.

E allora cos’è il romanzo, oggi? Ha ancora senso parlare di romanzo dopo che le avanguardie ne hanno decretato la fine già nel secolo scorso? Il romanzo sarebbe finito con Joyce, eppure centinaia di romanzi continuano a essere scritti e si ha l’impressione di vivere in una sorta di riflusso. Se per Barthes la parola non ha più necessariamente un nesso con il suo referente e non ha senso parlare di racconto realistico della realtà, per Wood l’essenza del romanzo è legata a quello che lui chiama un “realismo profondo”, un’origine, al di là delle convenzioni, che muove ogni scrittore nella creazione di una forma d’arte fedele alla vita, o a quella che lui definisce “una sorta di vita”: la vita sulla pagina. In questo senso, per Wood, lo scrittore è un servitore della vita e la conclusione a cui giungiamo è che finché gli uomini cercheranno di dare una forma alla realtà in cui viviamo, i romanzi continueranno a essere scritti.

La questione estetica rimane e mentre ci interroghiamo sul grande tema della sopravvivenza del romanzo possiamo intanto tentare di rispondere a domande più circoscritte che ci aiutino a capire se un romanzo è davvero “scritto da dio” come sentiamo spesso dire, o se non sia semplicemente una serie trita e ritrita di stanche convenzioni verso il quale siamo spinti dalla nostra fame di realtà. Come funzionano i romanzi è allora una buona guida, utile agli scrittori e ancora di più ai lettori, per provare a capire cosa stiamo davvero leggendo.

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