Da dove nasce il pregiudizio contro le donne? Forse non è facile rintracciare la sua origine, ma se si scava a fondo si noterà quanto indietro siamo portati dalla storia, quanto questo pregiudizio sia radicato alle origini della civiltà stessa e quanto ancora sia attuale.
La donna, quell’essere instabile, irrazionale, emotiva, fonte di ogni male, disgrazia terrena, tentatrice, puttana. Gli appellativi sono tanti e non diminuiscono mai, si rinnovano anzi sempre più fantasiosi e carichi di forza deleteria che fa più male oggi, all’alba di una più ampia presa di coscienza collettiva, che mille anni fa.
E’ proprio la storia che non dimentica, ma che spesso si ripete, ad illustrarci come la filosofia, la religione, la politica, il teatro e la scienza abbiano sempre urlato a gran voce l’inettitudine dell’essere femminile. Per esempio Esiodo nella Teogonia, dove narra la nascita degli dei greci, dice: “Lo stupore percosse gli dei immortali e gli uomini mortali, quando videro il repentino inganno, ineluttabile per gli uomini. Da lei nacque la razza delle femminee donne, grande sciagura per gli uomini, abitanti in mezzo ai maschi, sperperatrici non di bisognevole Povertà, ma di Ricchezza”.
Elena, Penelope, Andromaca, Briseide, Circe e Calipso dell’epica omerica, sono figure femminili che se anche in alcuni casi sembrano ostentare una certa autorità, in realtà già con il poeta greco autore dell’Iliade e dell’Odissea si va a delineare la tipica divisione dei ruoli e del lavoro in base al sesso: l’uomo va in guerra e la donna rimane a casa a tessere la sua tela.
Se poi si prende in esame il libro più venduto della storia, la Bibbia, di esempi tipicamente maschilisti ce ne sono a bizzeffe, a cominciare dall’attribuzione della colpa del primo peccato alla donna che ricadde poi tutte le figlie di Eva marchiate sin dalla nascita dalla “lettera scarlatta” dell’infamia.
Il pregiudizio contro le donne sembra far parte dell’umanità da tempo immemore, messo in piedi dalla controparte maschile che dagli albori della civiltà ha sempre inneggiato alla propria superiorità sulle donne che non avevano diritto di parola, pensiero, voto, che non potevano essere padrone della loro vita, alle quali è stato privato di avere uno scopo per sentirsi realizzate se non quello di amministrare la casa e dare alla luce dei figli.
Eppure mi vengono alla mente le parole della scrittrice cilena Isabelle Allende, notoriamente femminista, che ha detto: “Lo strano è che sono le madri a incaricarsi di perpetuare e rafforzare il sistema, allevando figli arroganti e figlie servili; se si mettessero d’accordo per fare altrimenti potrebbero distruggere il maschilismo in una generazione.”
E’ indubbio che la situazione nel tempo si è evoluta in meglio, ma sradicare una volta per tutte questo pregiudizio non è affatto semplice. Dal titolo volutamente provocatorio si presenta l’opera di Paolo Ercolani, (ad link) Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio, edito da Marsilio 2016. In questo libro l’autore non si limita a ricostruire la storia del più antico preconcetto – tirando in ballo le responsabilità della filosofia, della religione e delle scienze in genere –, ma propone una nuova teoria della soggettività umana che possa agevolare il superamento di contrapposizioni e pregiudizi sessuali con i quali è arrivato il momento di fare i conti in maniera definitiva.
Paolo Ercolani, classe 1972, insegna filosofia all’Università di Urbino Carlo Bo. Scrive per varie testate, tra cui «L’Espresso», e ha collaborato con «il manifesto», «MicroMega» e «la Lettura» del «Corriere della Sera». Cura il blog L’urto del pensiero e collabora con Rai Educational Filosofia. E’ fondatore, membro del Comitato scientifico e Presidente dell’Osservatorio filosofico. Tra le sue opere troviamo: Il Novecento negato. Hayek filosofo politico (Perugia 2006), Tocqueville: un ateo liberale (Bari 2008), La storia infinita. Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche, presentazione di Luciano Canfora(Napoli 2011) e L’ultimo Dio. Internet, il mercato e la religione stanno costruendo una società post-umana, prefazione di Umberto Galimberti (Bari 2012).
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