È arrivato su Netflix il 24 dicembre Don’t Look Up, l’attesissimo film di Adam McKay (La grande scommessa, Vice – l’uomo nell’ombra), con Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence e Meryl Streep alle prese con una cometa che minaccia di spazzarci via dalla Terra.
L’attesa è stata ben ripagata, Adam McKay non delude e mette in piedi una commedia catastrofica maledettamente seria.
Attenzione! L’articolo contiene spoiler.
La dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) dell’Università Statale del Michigan, impegnata in uno studio sulle supernove, scopre durante un’osservazione una cometa non ancora identificata. Di lì a poche ore, il suo responsabile, il professor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), calcolandone la traiettoria, giunge alla conclusione che l’enorme corpo celeste, con un diametro di circa 9 km, è diretto verso la terra e la colpirà in pieno nel giro di sei mesi e poco più, causando l’estinzione di ogni forma di vita che la abita.
Sconvolto dall’epocale scoperta, il professor Mindy, la dottoranda Dibiasky e il dottor Oglethorpe (Rob Morgan), a capo dell’ente di difesa planetaria si recano alla Casa Bianca per mettere al corrente la presidente Janie Orlean (Meryl Streep) della minaccia che incombe sul pianeta.
Nessun membro dello staff sembra però dare peso alla notizia. La presidente, impegnata con le elezioni di medio termine, decide di attendere e di non mettere in atto alcun piano governativo per tentare di deviare la traiettoria della cometa.
I tre astronomi si rivolgono quindi alla stampa per informare i cittadini di tutto il mondo del pericolo imminente. Le cose non vanno molto meglio. Ospiti di un famoso programma del mattino condotto dalle star della televisione Jack e Brie (Tyler Perry e Cate Blanchett), Mindy e la Dibiasky provano a far capire la gravità senza precedenti dell’evento ma si trovano davanti un muro di gomma. Nessuno, né il governo, né la stampa, né l’opinione pubblica sembra dare peso alla notizia, che riceve l’attenzione mediatica di un aggiornamento del meteo.
Ma c’è qualcuno che ha drizzato le orecchie e intravisto nella catastrofe una possibilità di guadagno. Il re della telefonia miliardario, terzo uomo più ricco al mondo, Peter Isherwell (Mark Rylance) presenta al presidente il suo progetto, firmato da due scienziati premi Nobel, per colpire con precisione la cometa e ridurla in piccoli pezzi, così da poterne estrarre i materiali preziosissimi di cui è composta.
Dopo aver escluso le altre grandi potenze mondiali dalla missione, l’America si appresta a mettere in atto il suo piano. Intanto, la cometa si affaccia nel cielo notturno, ormai visibile a occhio nudo. Manco a dirlo, il piano del multimiliardario fallisce, scalfendo appena con le sue esplosioni la superficie del gigantesco corpo celeste. Nel giro di poche ore la cometa impatta con il pianeta causando, come previsto, l’estinzione di massa.
Si leggono spesso sui social a commento di una qualche idiozia commessa da qualcheduno in qualche parte del mondo, frasi lapidarie del genere “Aspettando la cometa” oppure “Ok, estinguiamoci”. Ecco, Adam McKay su quella famosa cometa che dovrebbe far estinguere il genere umano ci ha fatto un film.
E a guardarlo questo film, a guardarci tutti sguazzare in questo modello di società che ci siamo tanto fieramente costruiti, è difficile negare che quella estinzione la meriteremmo sul serio. Certamente molto più dei poveri dinosauri.
Adam McKay costruisce un film catastrofico che è ovviamente una commedia ma lo fa senza calcare mai sull’elemento parodistico. Resta attaccato alla realtà sottolineandone gli aspetti più surreali, tragici e ridicoli allo stesso tempo, spingendosi solo ogni tanto, e molto spassosamente, un po’ più in là.
Don’t Look Up è un apocalyptic movie che è sì una satira sull’attuale società americana, al cui modello buona parte del mondo si ispira, ma che si diverte anche a prendere in giro il modo in cui lo stesso cinema americano ha affrontato il genere nel corso degli anni, utilizzandone gli stessi topoi.
Ecco quindi le ampie panoramiche sugli shuttle pronti a partire da Cape Canaveral con la luce del sole che ne accarezza le superfici; ecco la solita colonna sonora epica; e i popoli di tutto il mondo riuniti di fronte alla televisione che osservano allarmati i notiziari alla tv; ed ecco il classico eroe solitario alla John Wayne, il militare tutto d’un pezzo il cui sacrificio salverà miliardi di vite.
Adam McKay sfrutta quindi intelligentemente tutto il repertorio retorico a disposizione, ricalcando persino inquadrature e movimenti di macchina, ma se ne serve per costruire uno scenario che è l’esatto opposto di quelli che siamo stati abituati a vedere nei vari Indipendence Day, Armageddon, etc.
Qui l’America non salva il mondo, in Don’t Look Up è proprio l’America a condannare il pianeta alla distruzione.
In Don’t Look Up Adam McKay ha gettato molta carne al fuoco. È chiaro che i due anni di pandemia hanno fornito molto materiale alla sceneggiatura. Il modo in cui un fatto di importanza epocale diventa notizia che viene recepita dalla popolazione; il modo stesso in cui l’opinione pubblica la maneggia, la consuma per rimbalzarla sui social sotto forma di meme o di challenge per arrivare poi ad assimilarla davvero e infine a reagire spaccandosi in due. Tutto questo lo abbiamo già visto e lo vediamo ancora.
Un processo prevedibile in una società massmedializzata, dove una cometa che sta per distruggere la terra produce meno interazioni sui social della rottura tra due giovani star, che ci fa sorgere il dubbio se sia vero che alla fine siamo diventati tutti un po’ più stupidi.
Una società che sta ipotecando la propria volontà in favore di dispositivi sempre più intelligenti destinati a sostituirci, se non in tutto, quasi; abituata a guardare la realtà attraverso un filtro, che sia lo schermo di uno smartphone o quello della tv, e quindi a non farsi toccare direttamente.
Qui tutto diventa spettacolo, la convention dei “cattivi” così come il mega concerto dei “buoni” dove Ariana Grande canta sulle note pop “moriremo tutti” tra le urla dei fan. È il circo mediatico creato dalla società dei grandi denti bianchi. A comandare davvero qui non sono i politici ma i loro finanziatori. Quelli degli algoritmi e dei big data, impegnati a progettare un futuro sempre più disumanizzato.
In Don’t Look Up essi hanno il volto di un insolito e perfetto Mark Rylance, che costruisce un personaggio inquietante, impomatato come Elon Musk e asettico come Mark Zuckerberg. Il suo Peter Isherwell è un personaggio emblematico; come lo sono la presidente Janie Orlean di Meryl Streep, il figlio Jason di Jonah Hill e l’anchorwoman Brie Evantee di Cate Blanchett.
Tipi umani tutt’altro che distanti dalla realtà, e anzi membri di quel gruppo che proprio oggi determina le sorti delle nostre esistenze.
E mentre l’America scava la fossa all’intera umanità illudendosi, con la presunzione che la caratterizza, di poter trarre profitto da un pezzo di roccia che raderà al suolo il pianeta in quattro e quattr’otto, Adam McKay ci mostra tutto quello che di bello c’è a questo mondo. L’oceano, due megattere che nuotano, gli uccelli, un neonato che sorride, un colibrì che impollina un fiore. Un po’ didascalico forse ma innegabilmente efficace per sottolineare per immagini quello che il professor Mindy dice amaro in una delle ultime scene del film, prima di essere spazzato via dall’onda d’urto: “Avevamo tutto”.
Don’t Look Up è un film comicamente serio o drammaticamente comico che colpisce dove deve colpire e in cui si salvano in pochi. Politici affamati di consenso (la presidente Orlean è un po’ Donald Trump e un po’ Hillary Clinton), assistenti inetti, giornalisti patinati, star del cinema. Persino le grandi menti dell’Ivy League. E qui probabilmente si ritrova ancora l’influenza delle riflessioni di questa era pandemica con le critiche agli scienziati star.
Comunità scientifica è un termine che torna spesso nel film, invocata dal professor Mindy, dalla dottoranda Dibiasky e dal dottor Oglethorpe perché confermi i dati e lavori alla soluzione del problema. Perché anche un premio Nobel ha bisogno che altri colleghi studino e confermino i suoi dati, oppure li confutino. Questa è la comunità scientifica. Gli oracoli non esistono.
Don’t Look Up è un film che andrebbe guardato più volte (e, consigliamo, fino all’ultimo titolo di coda) per scorrere tutto il catalogo degli strumenti che l’umanità ha inventato per distruggere sé stessa e che Adam McKay ci propone qui con il suo stile personalissimo, con l’asse dialettico fondato sul montaggio geniale del fidato Hank Corwin, in due ore e venti minuti di disillusa e divertente fine del mondo.
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