Recensione

“Il vecchio al mare” di Domenico Starnone

Domenico Starnone, nato a Napoli nel 1943-vinse il Premio Strega con “Via Gemito” nel 2001-dopo le più recenti “Lacci” del 2014 , “Confidenza” del 2019 e “Trust” del 2021, con il recente “Il vecchio al mare”, Einaudi Editore, si immerge in un raffinato viaggio introspettivo naufragando nelle preziose fragilità del suo personaggio e dell’umanità che lo circonda,  inesorabile specchio del suo passato e del suo presente.

Sulla spiaggia di un ottobre caldissimo c’è un vecchio signore che legge, scrive, passeggia.

Una mattina qualcosa gli leva il respiro, gli sfugge. Cosa se ne sta andando per sempre? Muove da questo istante di smarrimento un racconto vorticoso e raffinatissimo, teso e scanzonato, che insegue Rosa, ombra della madre sarta, morta troppo presto, e Lu, giovane commessa di boutique che, nel tempo libero, coltiva la passione per la canoa. Un libro sulla perdita del proprio mondo, sulla vecchiaia, sull’amore per le donne, sul prodigio e lo smacco della scrittura.

“Nel corso della mia vita ho fatto di tutto, proprio di tutto, per smania di racconto”

Con la sua sedia, il cappello, I lavoratori del mare” di Victor Hugo da leggere, una matita e il taccuino per prendere appunti e cancellarli puntualmente con una gomma, Nicola staziona davanti al mare, osservando, riflettendo e  scrivendo.

Scrivere bene per lui è “trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera” e la condizione in cui lui si trova è quella affacciata “sul balcone dell’insignificanza”, quando si ha la sensazione che “tutto si sta sgangherando, il corpo, il mondo, cielo e terra” e si scivola verso uno stato di “terremotizio”, il cedimento della consapevolezza, lo “scucimento del consueto”.

Il tempo segnato dalla fuga della figurina d’oro dal corpo, dallo sguardo che si rivolge al tutto e al nulla, dall’attesa – è il titolo della raccolta da cui è tratta la fotografia di Mimmo Jodice che illustra come una perfetta soglia testuale la copertina del libro – di qualcuno o qualcosa.

La vecchiaia, insomma.

Leggendo questo solo apparentemente “facile” testo di Starnone, si finisce con il ritrovare una pace inusitata che di rado, per le ragioni più disparate, ci è dato raggiungere per tramite della penna degli scrittori, più spesso attenti a raccontare i nodi indistricabili che quelli che possono essere sciolti.

Ne Il vecchio al mare” Starnone ci mette davanti a una universalissima resa dei conti. Quella con il tempo che passa e di un passato che cerchiamo inopinatamente di poter rivivere.

Parola dopo parola, riga dopo riga sembra di scorgere un testamento: il ritorno alla terra che passa attraverso il paesaggio, una spiaggia fatta di nuvole, spruzzi, vento, sabbia e avventori dove l’io narrante passeggia, la compassione per l’umano dell’homo sum plautesco, declinata in una serie di incontri che il protagonista decide di fare fermandosi davanti a tutti coloro che incrocia e decide di conoscere senza che ce ne sia bisogno contingente.

“Cos’è scrivere bene? Trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera”.

Riflettendo sul significato e sull’importanza di saper accettare la vecchiaia senza “svicolare“, come spiega lo scrittore in una recente intervista, le pagine de “Il vecchio al mare” trasmettono la sensazione di quello smarrimento che questo momento della vita può provocare decidendo consapevolmente di non ignorarla, ma di viverla intensamente e con serenità.

E, allora, come non ripensare al finale de “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar e a quella sua ultima invocazione: “Cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti”.

Così anche la morta può diventare una magnifica lezione di vita.

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