Nel desolato scenario di Ponte di Nona a Roma, Mirko (Carpenzano) torna a casa in macchina di notte insieme all’amico Manolo (Olivetti), dopo aver consegnato per 30 euro delle pizze; mentre i due ragazzi parlano dei loro progetti, investono un passante che sbuca all’improvviso. Spaventati scappano e vanno a chiedere aiuto al padre di Manolo, Danilo (Tortora), un balordo che vive ai margini della malavita che li tranquillizza e li manda a dormire. Poco dopo, però, Danilo viene a sapere che l’investito era un pentito del clan locale dei Pantano e, tutto eccitato, organizza un incontro del figlio con Simone (Giordano De Plano), fratello del boss Angelo (Zingaretti) perché lo faccia entrare nel giro. Così avviene e Manolo comincia ad evitare Mirko, il quale – arrabbiato ed insospettito dall’improvviso benessere dell’amico – lo affronta e gli fa dire la verità, chiedendogli di far entrare anche lui nel clan (in fondo era lui a guidare la macchina investitrice). Manolo recalcitra un po’ ma un giorno gli propone di accompagnarlo nel suo primo incarico importante: ammazzare un marocchino che non pagava il pizzo. Simone fornisce loro le pistole e l’incarico viene portato a compimento.
Ora i due ragazzi sono a pieno titolo nella banda e svolgono vari lavoretti, come portare preservativi e generi di conforto alle prostitute che battono per i Pantano. Mirko, con i nuovi guadagni, riempie di regali la fidanzata Ambra (Michela De Rossi) e la madre Alessia (Mancini), che con il lavoro saltuario di addetta alle pulizie campa se stessa, il figlio ed una bambina, nata dalla relazione con Carmine (Walter Toschi), che vive con la sua famiglia da un’altra parte e può fare pochissimo per aiutarli. Alessia, di fatto, capisce benissimo da dove vengono quei soldi e, per un po’, accetta le spiegazioni del figlio – sia pur con qualche sfuriata – ma quando questi si presenta alla festa di compleanno della sorellina con una quantità di oggetti costosi, lo aggredisce e lui, deluso ed arrabbiato, se ne va di casa. Ora anche lui – come Manolo che è a suo agio nella loro nuova vita e non si fa domande – si sforza di adeguarsi alla logica che lo circonda (tanto da essere lasciato da Ambra, perché ha cominciato a farci l’amore con la brutalità che ha visto nei Pantano quando “usano” le loro battone). I due condividono l’ambizione di uscire dal ruolo di manovali del crimine per essere promossi a killer del clan e l’occasione si presenta quando Angelo chiede a Simone di far ammazzare un rivale che si sta allargando troppo…
I fratelli D’Innocenzo sono degli esordienti assoluti: provengono dalla scuola alberghiera e sono totalmente autodidatti; la loro prima esperienza importante (avevano già scritto Two days per Romano Scavolini) è stata – avendo, dicono, incontrato Garrone in una pizzeria – quella di partecipare alla sceneggiatura di Dogman, grazie anche alla loro conoscenza della vita in borgata (sono nati a Tor Bella Monaca). La terra dell’abbastanza è stato selezionato a Berlino per la sezione Panorama, dove è stato accolto con buoni riscontri.
I gemelli Damiano e Fabio hanno una buona vena – e certamente un cast tecnico di primordine, dalla fotografia di Paolo Carnera al montaggio di Marco Spoletini, ha contribuito non poco a limarne le imprecisioni – ma non sembra così giustificato il coro di entusiasmo, che si è levato all’apparire del film. Intanto, senza nulla togliere alla loro ispirazione, sembra che da un paio d’anni il nostro cinema si sia concentrato sulle borgate romane; l’elenco è lungo: si va dallo splendido Non essere cattivo al simpatico (e un po’ sopravvalutato) Lo chiamavano Jeeg Robot, ai pleonastici Fiore, Cuori puri, Il contagio, Et in terra pax, Manuel, Il permesso – 48 ore fuori e Il più grande sogno, al comico (e un po’ razzista) Come un gatto in tangenziale, al letterario Fortunata, per arrivare al pluripremiato e algido Dogman (c’è anche la versione gore della storia del canaro: Rabbia furiosa di Sergio Stivaletti).
I due registi citano tra i loro ispiratori l’Abel Ferrara di Fratelli, il Rossellini di Paisà, Garrone, i quadri di Francis Bacon e- con giusto timore reverenziale – ovviamente Pasolini. Ed è proprio pensando a Pasolini che viene in mente la prima notazione critica: tra il suo primo romanzo Ragazzi di vita e il successivo Una vita violenta c’è una profonda differenza: nel primo si sente l’occhio –talora involontariamente giudicante e moralistico (‘’ … che je ne fregava della morale al Riccetto’’) dell’autore – il secondo è impetuosamente raccontato con un’empatia assoluta con il protagonista, qualunque cosa faccia. Questa empatia c’è tutta nei film “di borgata” di Pasolini, sino al capolavoro di scrittura de La notte brava diretto da Bolognini, come c’è nelle opere di Calligari, mentre La terra dell’abbastanza mantiene le distanze, con una pietas più raccontata che vissuta; in questo i fratelli mostrano di essere allievi di Garrone – che anche quando racconta le favole lo fa con sguardo esterno; anche se forse Marco e Ciro di Gomorra erano più “veri” di Mirko e Manolo. In conclusione: un interessante esordio ma aspettiamo di vedere come i due fratelli cresceranno.
Film di Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo. Con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti Italia 2018
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