Libri

Le Cose che restano. In vita veritas

A un anno dalla scomparsa di Paolo Graldi (27 maggio 1942-30 dicembre 2023) il Circolo Canottieri Aniene di Roma ha voluto ricordare il grande giornalista, già Direttore de Il Messaggero e de Il Mattino, inviato speciale de Il Corriere della Sera, radunando un vero e proprio parterre de roi del giornalismo italiano (Silvana Mazzocchi, Massimo Ammaniti, Giulio Maira, Dino Zoff, Antonio Padellaro, Enrico Vanzina, moderati da Massimo Martinelli, Direttore Editoriale de “Il Messaggero”) per la presentazione del suo libro postumo “Le cose che restano. In vino veritas”, Palombi Editore.

Da Adriano Panatta a Renzo Arbore, fino ad Anna Fendi, Liliana Cavani e Giancarlo Giannini: ventuno grandi personaggi dell’arte, dello spettacolo, della cultura e dello sport raccontano in un libro il senso della vita, con il realismo e la franchezza che solo l’età regala.

Ventuno interviste che Paolo Graldi, ha raccolto negli ultimi due anni della sua vita e che adesso escono raccolte in un saggio intitolato “Le Cose che restano. In vita veritas” (142 pagine, 18 euro) Palombi Editore.

Il libro compendia il pensiero degli intervistati (Renzo Arbore, Giovanna Ralli, Giorgio Parisi, Adriano Panatta, Giulio Maira, Pier Francesco Pingitore, Mario Stirpe, Anna Fendi, Dino Zoff, Francesca Lo Schiavo, Giancarlo Giannini, Liliana Cavani, Massimo Ammanniti, Peppino Di Capri, Carlo Nordio, Mara Venier, Pupi Avati, Lino Banfi, Massimo Garattini, Mogol, Clemente Mimum) sui diversi temi della vita, dai sentimenti fino tutto ciò che gli anni e l’esperienza hanno insegnato ad ognuno di loro.

E’ un bilancio ragionato che ha come sfondo il nostro Paese, e i cambiamenti che lo hanno caratterizzato nel corso degli ultimi 90 anni. E in questa raccolta di dialoghi c’è l’eredità che ciascuno dei ventuno personaggi desidera lasciare a chi ama, a chi ha conosciuto, a chi ne ha apprezzato il lavoro e le opere.

Pochi giornalisti come Paolo Graldi riuscivano a fare rete, comunità, condivisione di sogni e progetti: questo tratto distintivo di Graldi, uomo e giornalista, è emerso spontaneamente nelle testimonianze dei relatori, tutti concordi nell’affermare che Graldi, quando intervistava qualcuno, non sognava di intervistare se stesso, preferndo sempre e comunque le Parole degli altri al protagonismo dell’Io.

“Paolo avrebbe potuto scrivere un film”– risponde Enrico Vanzina alla domanda del Direttore Editoriale de Il Messaggero Nassimo Martinelli che ha moderato l’incontro e che ha chiesto al regista se il collega avesse mai potuto essere contemplato in un suo film. Aggiungendo: “Un giorno Carlo Verdone e io ci siamo detti che abbiamo pedinato gli italiani. Paolo ha fatto lo stesso con onestà intellettuale” ha concluso Vanzina.

Martinelli, cresciuto professionalmente con Graldi, ricorda che “per Paolo lo scopo di questo libro doveva essere quello di aiutare Anthea”, ed infatti gli introiti delle vendite saranno devoluti all’Associazione che aiuta i malati terminali, come ricordato ancge dal suo fondatore, Giuseppe Casale.

Scrive Simona, la moglie di Graldi, nella bella premessa al libro: “Ricordo ogni singola intervista a cui ho assistito, ogni singola telefonata, è stato un dono vederlo in azione, felice come un bambino il giorno in cui trovammo un programma che ‘sbobinava’ le registrazioni, una scoperta di cui si vantava con una luce negli occhi che non ho mai visto in un uomo della sua età e che costituiva il suo essere straordinario”.

Non sembri, allora, eccessio parlare di un metodo Graldi, ovvero il suo metodo professionale: scoperta della notizia e umanità, misura e verità nel saperla raccontare, che dovrebbe valere come monito civile per i giovani d’oggi, per chi, auspichiamo, sappia e voglia prendere il testimone, perchè non solo le cose restano, ma soprattutto le persone.

Come Paolo Graldi.

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