Presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia, dove la protagonista Vanessa Kirby ha ottenuto una meritatissima Coppa Volpi, il primo film americano del regista ungherese Kornél Mundruczó Pieces of a Woman, disponibile su Netflix dal 7 gennaio, è un lucido e partecipato racconto sull’elaborazione di un lutto.
Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf) sono una giovane coppia di Boston in attesa del loro primo figlio. Facciamo la loro conoscenza quando Martha è già al nono mese. La sera del parto, che Martha ha deciso convintamente di fare in casa, la sua ostetrica Barbara, impegnata in un altro difficile travaglio, manda in sua vece la collega Eve (Molly Parker) ad assisterla. Ma qualcosa non va per il verso giusto, il parto è difficile e la neonata è in sofferenza. Sean vorrebbe portare Martha in ospedale ma lei insiste per continuare in casa. La bambina nasce e, nonostante le difficoltà, sembra stare bene. Martha la stringe tra le braccia e Sean le scatta delle fotografie. Pochi istanti dopo, la bambina muore.
Ritroviamo Martha un mese dopo, già rinchiusa in un silenzio glaciale. Il tempo passa, scandito di mese in mese, e il rapporto tra Martha e Sean si incrina. Sean appare impotente di fronte al dolore della compagna che sembra voler rimuovere forzatamente il ricordo della figlia ed è restia e disinteressata al processo, fortemente voluto da sua madre Elizabeth (Ellen Burstyn), contro l’ostetrica chiamata a rispondere del presunto errore che avrebbe provocato la morte della neonata. Per uscire dalla spirale autodistruttiva in cui è caduta, Martha sarà costretta a elaborare il lutto.
Pieces of a Woman è uno di quei film nati da una perfetta unione tra sceneggiatura, regia e interpretazione, in cui ognuno fa al meglio la sua parte, senza strafare, senza ostentazioni, rimanendo al servizio della storia e della verità di una condizione in essa raccontata. Ne esce un film intenso, diretto, a volte duro, che non risparmia dettagli ma non vi indugia gratuitamente, magnificamente interpretato dal cast e sapientemente diretto da Kornél Mundruczó che ci inchioda alla poltrona già nei primi minuti con una sequenza di rara forza, la cui eco ci accompagnerà per tutto il film.
Il piano sequenza iniziale, emotivamente potentissimo, rende subito l’idea di quella che sarà la regia di Mundruczó. La grandezza del regista ungherese qui (vale per il piano sequenza ma anche per il resto del film) sta nella volontà di compiere un passo indietro per lasciare gli attori a prendersi tutta la scena e nella capacità di farlo utilizzando una tecnica che invece sembra fatta apposta per sottolineare la maestria del regista, ovvero il piano sequenza. La scelta di utilizzare il piano sequenza è dettata dalla necessità di raccontare, per intero e quindi senza stacchi di montaggio, un parto, e di far partecipare lo spettatore alla totalità dell’azione. Appare quindi la scelta più giusta, non un vezzo autocelebrativo ma la tecnica cinematografica più funzionale alla narrazione di questo racconto. Che è innanzitutto il racconto di una donna e del suo dolore per una maternità mancata ma anche più in generale un racconto sulla donna e sull’essere madri.
Pieces of a Woman è un film molto fisico, che parte dal corpo della donna per arrivare ad abbracciare poi la totalità della sua dimensione. Anche qui, il piano sequenza iniziale dice molto su quello che sarà poi il film. La prima mezz’ora è una esplorazione del corpo di una gigantesca Vanessa Kirby. Mundruczó ci mostra tutto il travaglio, Martha che respira, sospira e geme di dolore, ha nausea e continui imbarazzanti rigurgiti e teme di farsela addosso nella vasca da bagno, perde sangue, suda, si contrae e urla. Accanto a lei il compagno Sean, uno Shia LaBeouf sempre bravo ma qui ancora più bravo a interpretare un uomo duro ma allo stesso tempo debole, sovrastato dalla statura delle donne che lo circondano, non solo la dolente compagna Martha, ma anche la rampante avvocatessa di successo Suzanne e, soprattutto, la ricca e risoluta madre di Martha, interpretata dalla grande Ellen Burstyn, che alla fine ne rivelerà la piccolezza.
Pieces of a Woman è un film tutto al femminile, fatto di madri, sorelle e figlie, e probabilmente non è un caso che anche la piccola morta subito dopo il parto sia femmina. Anche lei, pur nella sua breve vita, ha una sua dimensione, una sua identità, è esistita, anche se solo per pochi attimi. E la realtà della sua vita emerge alla fine nella foto che lentamente si rivela nella camera oscura. Anche in questo piccolo dettaglio Mundruczó sceglie un supporto fisico, materico, una foto in pellicola, come a sottolineare la consistenza di quella vita. È così che, dopo averla negata nei mesi di silenzio e forzata indifferenza che hanno seguito la sua morte, Martha riesce finalmente a guardare il suo dolore e a elaborare il lutto. Ci riesce solo attraverso il riconoscimento di quella esistenza.
Se il piano sequenza iniziale è un macigno emotivo, il resto della narrazione è una tesa, lenta e inevitabile discesa verso la fine di un rapporto con i due protagonisti che si autodistruggono, con Sean che trova rifugio nelle sue dipendenze e Martha che diviene insensibile e glaciale, quasi cristallizzata nel gelido inverno di Boston, mentre nella loro casa i piatti sporchi si accumulano nel lavello e le piante appassiscono. Una bella metafora quella delle piante, simbolo di speranza e di rinascita, e della mela, che torna sempre nel film, il cui profumo evoca (forse inconsciamente) a Martha l’odore della figlia tenuta in braccio per pochi istanti. La donna seme della vita, forte come un albero con le radici ben piantate nella terra. Ancora una dimensione fisica per raccontarne la natura.
Altra bella metafora che vuole significare la riappacificazione di Martha con se stessa e la ricomposizione dei suoi “pezzi” è quella del ponte in costruzione sul fiume, di cui Mundruczó ci mostra le varie fasi di avanzamento nel tempo della narrazione. Dello stesso Sean facciamo conoscenza proprio sul cantiere del ponte, lui è uno degli addetti alla sua edificazione ma non riesce a portarlo a termine, perché lascia Boston prima del suo completamento. C’è solo Martha sul ponte ormai terminato e già funzionante, i due bracci sulle opposte rive del fiume si sono finalmente congiunti ed è proprio qui, in questo momento, che Martha libera le ceneri della sua bambina: la ricomposizione dei suoi “pezzi” è avvenuta, il lutto è stato elaborato.
Una splendida sceneggiatura quella di Pieces of a Woman, apparentemente semplice ma in realtà piena di piccoli dettagli e di significati, firmata da Kata Wéber. La Wéber che è compagna del regista si è ispirata a una sua personale vicenda per la scrittura del film e questo ha certamente contribuito a regalare allo spettatore la sensazione di vedere qualcosa di profondamente vero, senza patetismi né sovrastrutture. Una lucida e partecipata analisi del dolore cui la protagonista Vanessa Kirby, che ha voluto fortemente la parte, regala corpo, voce, sguardi e silenzi in un’interpretazione memorabile che le varrà sicuramente una candidatura ai prossimi Oscar, in programma per il 25 aprile.
Pieces of a Woman è un film bellissimo, che colpisce come un pugno allo stomaco. Assolutamente da vedere.
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