Luca Barbarossa, nato a Roma, non è un cantante come tanti altri. Il suo è un trascorso artistico molto riservato: concetto, questo, che i personaggi pubblici non conoscono o non vogliono conoscere.
La mia generazione ascoltava Eros Ramazzotti, Vasco Rossi, Europe, Tracy Chapman, Nick Kamen, Prince, tutta gente che si è fatta le ossa. Qualcuno è rimasto sempre sull’onda, altri sono scomparsi pur avendo riscosso un successo incredibile.
Quando il Festival di San Remo 2018 è andato in onda, a febbraio, a un certo punto, Roma è piombata sul Palco dell’Ariston e, a portarcela, è stato di nuovo questo ragazzo gentile. Un cantante, Luca, che la sua città l’ha consumata a forza di parole, ritornelli, stornelli.
Insomma un pischello che è cresciuto con, cucite indosso, le sue radici e che nel crescere non ha mai smesso di portarsele dietro.
Con Passame er Sale, ha rinnovato questo rito magico, senza essere ripetitivo o dalla grammatura consumata. Anzi, quando l’esibizione è finita, c’era una specie di incantesimo che avvolgeva l’aria, quella sacralità che Roma emana, ma solo a chi la conosce davvero. A chi ha un animo in grado di coglierla.
Credo che Luca Barbarossa sia un artista apprezzato ma non quanto meriterebbe. Non parlo per gusti musicali o per simpatia.
Siamo di fronte a un cultore dello stile dialettale: a lui va il merito di aver perseguito una strada difficilissima e di averci creduto fino ad oggi. Perché, in fondo, questa lingua-siparietto, troppe volte esempio di arroganza e maleducazione, si è ritagliata, sì, un posto privilegiato in seno alla comicità cinematografica ma non è mai uscita fuori dal luogo comune, dalla battuta facile.
Nelle sue rime, invece, c’è un bacio sottile ai luoghi romani, un rispetto per le parole e un’eleganza sottile che hanno trasformato una parodia in una poesia. Gli stessi ingredienti che hanno contribuito a fare da motore a quella nostalgica visione delle vie, dei quartieri, dei personaggi, celebrati dal cantante.
Per questo, forse, ci si sarebbe aspettato in questi anni un’attenzione maggiore verso Luca Barbarossa che non fosse circoscritta ai soli piazzamenti sanremesi.
Un riconoscimento per il lungo lavoro di traduzione e trasformazione di un genere che non è più attualissimo ma che traghetta e custodisce la cultura popolare di una capitale in un’era moderna.
Il suo ultimo album, in vinile, non poteva avere titolo migliore Roma è de tutti. Che, appunto, ribadisce una presa di posizione chiara: questa è una di quelle città che merita rispetto e lui, nel metterla in ogni canzone, spera nessuno dimentichi mai su quali sampietrini camminiamo, di fronte a quanta storia siamo.
Il cantante può fare il cantante oppure può fare il portavoce di un pensiero, di una cultura musicale. Ecco, credo di aver pensato questo mentre ascoltavo Passame er Sale, perché Barbarossa non ha mai sgomitato, non è mai stato un prepotente dello schermo e ha camminato con la sua storia, con la sua Roma, sempre con grande garbo e grande umiltà.
Quando ho letto che sarà a Roma il 29 Giugno ho pensato che dovevo dedicargli il mio pensiero.
Altre date: 13 Ottobre Teatro Cilea, NAPOLI; 10 Novembre Teatro della Tosse, GENOVA
Della stessa autrice:
L’immortalità di A mano a mano La romanità diffusa Lorenzo Cherubini in Jova Auditorium in Verde
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