Non c’è che dire, le donne sono state le protagoniste assolute del Roma Fringe Festival 2021. Una forte presenza testimoniata non solo dalla finale tutta al femminile (al Teatro Vascello il 26 aprile scorso) ma anche dalla presentazione di molti spettacoli pensati intorno alla figura della donna. Due di questi progetti, Rut e Aloysia, hanno offerto un’immagine della donna collocata in un preciso momento storico, ben lontano dagli anni delle rivendicazioni e delle lotte per i diritti civili.
Con Rut parliamo di un passato lontano più di duemila anni. Il testo, scritto da Christoph Nix, è tratto da un episodio biblico contenuto nell’Antico Testamento, e racconta di un viaggio, compiuto da tre donne, verso la città di Betlemme, restituendo un’idea chiara di quella che era allora la condizione femminile. Rut, Orpa e l’anziana Noemi sono tre figure di donne molto forti, sopravvissute alla morte di mariti e figli, strette in un legame di solidarietà femminile, una sorta di alleanza. Una storia che è anche il racconto di una migrazione, di profughe, di accoglienza: Rut è una non ebrea, una moabita (un popolo considerato nemico da Israele), che viene accolta e benvoluta dalla suocera ebrea, “l’amabile” Noemi, che con lei condivide la condizione di chi ha perso tutto.
Sarebbe stato forse più facile, e istintivamente forse più naturale, riscrivere un episodio biblico con uno sguardo contemporaneo, indugiare sui torti subiti dalle donne, denunciare il loro essere considerate proprietà di un uomo; ma l’autore non sceglie questa via, preferisce invece celebrare la forza delle donne, ancestrale, innata, in un racconto sostanzialmente positivo. Uno spettacolo suggestivo, fatto di luci calde e pochi elementi di scena, arricchito da scelte musicali ricercate e non banali.
Abbiamo parlato di Rut con la protagonista Chiara Murru, che quest’anno è tornata al Roma Fringe Festival dopo aver vinto il premio alla regia nella prima edizione del 2012.
Non c’è traccia, invece, di solidarietà femminile nella storia raccontata in Aloysia, spettacolo presentato al Fringe di Roma dalla compagnia campana Barattoli Cosmici. Siamo nel 1660, in Europa la caccia alle streghe è ancora una realtà e la Janara, figura popolare dell’Italia meridionale (e in particolare della Campania), è una preda perfetta per le condanne degli inquisitori. Esperta di erbe mediche, guaritrice, personalità forte e indipendente, la Janara ha l’identikit della strega ideale. Così è Aloysia, settima e ultima figlia di un conte, costretta dalla legge a farsi suora e poi fuggita dal convento per diventare Janara.
Quando il popolo affamato e inferocito punta il dito contro don Francisco Ferrante Mandraga e il suo agiatissimo tenore di vita, l’inquisitore ha gioco facile nello sviare tutta l’attenzione verso la donna e, facendo leva sull’ignoranza e la superstizione dei contadini, incolparla della carestia. Un classico procedimento di accusa per stregoneria che nel mondo, tra il XV e il XVIII secolo (in Europa l’ultima esecuzione ufficiale di una “strega” è del 1782) ha causato migliaia di vittime innocenti.
L’operazione seguita dal progetto Aloysia è proprio quella di riabilitare la figura della Janara e presentarla come una donna sapiente, che aiutava le persone con i suoi rimedi, senza rischiare di farne un ritratto apologetico ma restituendo l’immagine di una figura femminile forte, ribelle e indipendente. Praticamente l’incubo del patriarcato.
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