EventiVoci dal Roma Fringe Festival. Qualcosa di personale: Mamy Blues e Spaidermen

Voci dal Roma Fringe Festival. Qualcosa di personale: Mamy Blues e Spaidermen

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Continuiamo l’approfondimento degli spettacoli visti in scena al Roma Fringe Festival 2021, dall’11 al 17 aprile al Piccolo Eliseo e poi in streaming su teatro.it.

Mamy Blues e Spaidermen sono due monologhi entrambi scritti, diretti e interpretati dai due protagonisti, che mettono in scena momenti di vita vissuta per raccontare una condizione. Spettacoli nati dall’esigenza di indagare il proprio vissuto, e in qualche modo affrontarlo, per poi trascriverlo in forma scenica. Due progetti che danno voce a due realtà e provano a parlare non solo a chi ha già conosciuto la stessa condizione, ma anche a quelli che ne sono distanti e magari, per appartenenza di genere o per (mancanza di) educazione, faticano a comprenderla.

Luna Romani racconta di aver cominciato a pensare al progetto Mamy Blues qualche anno fa, quando il suo lavoro, la sua vita, e il suo stesso essere donna, furono stravolti dall’arrivo del primo figlio. Il tentativo di comprendere e di accettare il cambiamento, fisico ed emotivo, che una gravidanza comporta, e la volontà di indagare anche il suo “lato oscuro”, poco affrontato, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa su cui tacere per non intaccare la retorica del “miracolo della vita”, è l’anima di questo spettacolo vincitore del premio Speciale Off.

Mamy Blues ripercorre tutte le tappe che segnano una gravidanza, dalle prime nausee all’allattamento, e lo fa con un linguaggio senza orpelli, diretto, restituendo un’immagine forte di ciò che il corpo di una donna subisce durante una gravidanza. E poi, c’è lo stravolgimento emotivo. Questa è la parte di cui si parla poco o nulla e che Luna Romani, anche attraverso le testimonianze di altre donne che vediamo e ascoltiamo proiettate sul fondale, ha voluto indagare partendo dalla sua esperienza personale e dalla domanda “succede solo a me o succede a tutte?”.

Un testo che vuole dare voce a un problema, per superare quello che sembra un vero e proprio tabù. Un percorso di crescita sulla scena, quello di una donna che deve riconciliare la ragazza di un tempo con la madre che è venuta al mondo insieme a suo figlio.


Uno sputo sul viso in prima media, ricevuto da uno di quei tanti ragazzini prepotenti e ineducati che compongono la fauna dei cosiddetti bulli, è l’esperienza personale da cui parte Giacomo Dimase per mettere in scena con Spaidermen la condizione, ancora drammaticamente comune e negli ultimi tempi al centro del dibattito per la travagliata approvazione del Ddl Zan, di chi si sente non accettato e non riconosciuto dalla propria comunità.

Proprio in queste settimane si fa un gran parlare di ciò che andrebbe o non andrebbe insegnato ai bambini nelle scuole intorno al tema dell’omosessualità e della fluidità di genere, come se affrontare questi temi rappresentasse una ingerenza nel loro processo di autoconsapevolezza anziché un aiuto a comprendere la realtà e imparare ad accettarla serenamente. Se è nella scuola che si formano i cittadini di domani, allora è lì che bisogna andare a portare un messaggio di apertura, di tolleranza e di accettazione. Lo sa bene Giacomo Dimase che oggi insegna teatro nelle scuole elementari e negli asili, e che da bambino ha subito non solo il bullismo ma anche il manicheismo di un sistema educativo secondo il quale i maschietti combattevano i draghi e le femminucce perdevano la scarpetta e non c’era margine per altre combinazioni.

Erano gli anni ’90, ma a sentire il senatore leghista Pillon espressosi recentemente sulla (a suo dire) propensione naturale delle donne verso le materie di studio legate all’accudimento e degli uomini verso le materie più tecniche, sembra che non abbiamo fatto molti passi avanti da allora. Quel che è certo è che c’è ancora molto lavoro da fare e allora è proprio sull’educazione dei bambini che bisogna puntare per creare una società veramente inclusiva.

Soprattutto a loro parla Spaidermen, a quei bambini che non si riconoscono in un solo suffisso di genere, e lo fa con un testo molto sentito ma pieno di momenti di leggerezza, in uno spettacolo ironico e divertente che racconta la storia di un bambino innamorato delle principesse.

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