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Al Teatro Argentina l’Amleto di Giorgio Barberio Corsetti

Teatro ArgentinaAmleto
di William Shakespeare
traduzione di Cesare Garboli

personaggi e interpreti:

Fausto Cabra Amleto
Michelangelo Dalisi Claudio/Spettro
Sara Putignano Gertrude
Francesco Bolo Rossini Polonio/Osric
Mimosa Campironi Ofelia
Francesco Sferrazza Papa Orazio/Attore
Giovanni Prosperi Rosencrantz
Dario Caccuri Guildenstern/Prete
Diego Giangrasso Laerte/Attore
Francesca Florio Prima attrice/Attrice Regina/Soldato
Iacopo Nestori Primo attore/Attore Re/Messaggero/Marinaio/Primo Becchino
Adriano Exacoustos Attore/Luciano/Soldato/Marinaio/Secondo Becchino

“Essere o non essere, questo è il quesito”, è con il grande monologo del terzo atto che Giorgio Barberio Corsetti decide di far cominciare il suo Amleto, a scena aperta, mentre il pubblico parlotta ancora accomodandosi sulle poltrone del Teatro Argentina.

Con una bottiglietta d’acqua sospesa sul suo piede nudo appoggiato su una ciabatta elettrica, Fausto Cabra sostiene con disinvoltura il monologo macigno dandoci subito l’idea di come affronterà il ruolo del principe di Danimarca da qui al suo tragico epilogo: con l’aria stralunata, l’aspetto scapigliato e l’atteggiamento volubile e irruento di un bambino poco cresciuto.

Finito il monologo, l’impressione che si avverte è quella di essersi subito tolti un grande pensiero. La scelta non è inedita, vediamo ora cosa succede. La scena che segue è una delle più suggestive di tutto lo spettacolo, con Amleto che si adagia su un grande telo nero da cui si protendono le mani di Rosencrantz e Guildenstern che lo abbracciano mellifluamente, anticipando così in modo simbolico la loro ambiguità nel corso degli eventi.

Dietro il telo nero c’è la grande scena di questo importante allestimento: una imponente struttura modulare a tre piani con un aggrovigliato sali e scendi di scale, e porte che si aprono ovunque. È il castello di Elsinore.

Al primo sguardo, la struttura in ferro a più piani e le scritte al neon ricordano la scena di un recente Re Lear visto al Teatro Eliseo con la regia di Andrea Baracco e la produzione di Mauri Sturno. Poco dopo, però, appare chiara tutta la complessità di queste scene create da Massimo Troncanetti per il Teatro di Roma, con l’enorme struttura che si aprirà, si richiuderà e si sposterà continuamente nelle quasi 3 ore di spettacolo.

Amleto, foto di Claudia Pajewski

L’anticipazione del monologo porta con sé il conseguente anticipato arrivo della compagnia di attori, che vengono quindi presentati immediatamente. Sono tutti attori per Barberio Corsetti, gli attori che interpreteranno gli attori e gli attori che interpreteranno i grandi ruoli del capolavoro shakespeariano, Gertrude, Claudio, Polonio, Ofelia.

“Benvenuti a teatro”, sembra voler dire, “ecco a voi la tragedia di Amleto, principe di Danimarca.”

Siamo tutti invitati a partecipare dei suoi drammi. Non a caso, durante i monologhi più importanti, le luci in sala si accendono a mostrare il pubblico. Una scelta che, però, a nostro avviso, comporta un notevole calo di tensione.

Il pubblico viene cercato, interpellato e ahinoi troppo spesso solleticato e portato alle risa. Un investimento che viene fatto soprattutto nella prima parte e che nella seconda si ritorce contro lo spettacolo, con buona parte del pubblico (almeno quello presente alla prima) che ride anche quando non ci sarebbe nulla con cui divertirsi.

Si assiste a una sorta di equivoco e alla fine si esce con l’idea che debba esserci per forza qualcosa di sbagliato se guardando Amleto il pubblico ride ogni cinque minuti.

L’adattamento di Giorgio Barberio Corsetti sulla traduzione di Cesare Garboli va nella giusta direzione di attualizzare il linguaggio di Shakespeare e di calare la vicenda in un contesto contemporaneo sottolineando il carattere universale della tragedia di Amleto. Tanto che nella prima scena al castello di Elsinore sembra di stare in uno di quei locali alla moda con la gente che si fa i selfie seduta sui divanetti sopra un praticello di erba finta.

Gertrude e Claudio vengono presentati così. Lei, interpretata da Sara Putignano, in un frusciante abito rosso peccato, lui, Michelangelo Dalisi, con un look alla Francesco Bianconi dei Baustelle. Due bon vivant, due festaioli dei nostri giorni.

Coraggiosa e ammirevole la scelta del Teatro di Roma di coinvolgere in una grande produzione come questa molti giovanissimi attori ma purtroppo, e non è certo una colpa da imputare a loro, in generale, il cast non convince del tutto.

Il pur sempre bravissimo Fausto Cabra sembra portarsi dietro ancora il Peng di Marius Von Mayenburg con cui quest’anno ha aperto la stagione del Teatro Vascello per la regia di Giacomo Bisordi.

E se è vero che la prima è quasi mai l’occasione migliore per giudicare una nuova produzione è pur vero che se a emergere è una certa attorialità piuttosto che un’altra, questa non può che essere letta come una chiara scelta registica.

Francesco Sferrazza Papa e Fausto Cabra, foto di Claudia Pajewski

Una regia, quella di Barberio Corsetti, che lascia la sua impronta nel modo in cui mette in scena il tormento mentale di Amleto, materializzandolo nella continua mobilità della grande struttura che, partendo dal centro arriva, aprendosi, a prendere tutto il palco. Manovrate a scena aperta dai macchinisti, le due parti che compongono il castello di Elsinore vengono posizionate quasi sempre obliquamente.

Il cervello di Amleto non ragiona per linee rette. La sua mente è un piano inclinato su cui si scivola, ci suggerisce Barberio Corsetti nella bella scena del dialogo tra Amleto e Ofelia, in cui i due attori sono costretti a un notevole sforzo fisico per poter restare in piedi. Non ci sono appigli a cui aggrapparsi, ci si muove in spazi che mutano costantemente, come le grandi architetture nei sogni di Inception.

(Peccato che poi il regista riutilizzi la stessa combinazione nel dialogo tra Claudio e Laerte, sciupando in parte il forte impatto di una delle scene più riuscite di tutto lo spettacolo.)

Fausto Cabra e Mimosa Campironi, foto di Claudia Pajewski

Conclusioni

In questa complessa macchina che è il nuovo Amleto al Teatro Argentina, qualcosa del capolavoro shakespeariano si perde. Viene a mancare tutto l’aspetto politico, ben presente nel testo originale con tutta la vicenda di Fortebraccio; ma anche il senso universale della morte, il suo valore metastorico fuori dal presente individuale, che pervade tutta la tragedia.

L’adattamento di Barberio Corsetti intende quindi superare l’amara riflessione sull’ineluttabilità della morte e su ciò che essa produce a vantaggio di una lettura più vicina al mondo giovanile e al disagio che esso è costretto a vivere nell’incertezza esistenziale del presente.

Amleto resterà in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 9 dicembre.

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