Cinema

La vita straordinaria di David Copperfield

In questi giorni incerti vissuti nel limbo tra l’illusione della normalità e la minaccia di un nuovo lockdown, esattamente come la lettura del libro a cui si ispira, La vita straordinaria di David Copperfield (The personal history of David Copperfield) regala momenti preziosi di riconciliazione con la vita. Armando Iannucci riesce a cogliere lo spirito del capolavoro dickensiano e ce lo rimanda attraverso lo schermo in questo nuovo e ben riuscito adattamento del grande classico della letteratura inglese.

La storia di David Copperfield

Il film segue piuttosto fedelmente le vicende narrate nel romanzo. Si racconta la storia di David Copperfield (Dev Patel), dall’infanzia, segnata dall’assenza del padre morto prima che lui nascesse e dalla presenza della fragile madre e dell’amorevole governante Peggotty, all’età adulta, attraverso avventure, disgrazie e incontri con personaggi molto singolari. A seguito del matrimonio della madre con il perfido Mr. Murdstone e dell’arrivo in casa della ancor più perfida sorella di lui Jane, David è costretto a lasciare la sua casa e tutte le comodità della sua infanzia per andare a lavorare in una fabbrica di bottiglie a Londra di proprietà del patrigno, dove come lui si sfruttano bambini e ragazzi di ogni età in nome della rivoluzione industriale. A Londra David viene ospitato nella casa dei Micawber, una famiglia di cialtroni poveri in canna e pieni di debiti ma sostanzialmente buoni a cui David darà sempre una mano con i miseri proventi del suo lavoro.

Venuto a sapere della prematura morte della sua amata madre, David fuori di sé scappa da Londra e va alla ricerca della zia Betsey Trotwood (Tilda Swinton) che vive a Dover insieme a uno strano personaggio ossessionato dalla decapitazione di re Carlo I, Mr. Dick (un meraviglioso Hugh Laurie). La zia gli permette di proseguire gli studi e poi gli trova un impiego nella ditta di Mr. Spenlow a Londra. David torna in città non più da straccione ma da giovane e promettente procuratore. I guai però non sono ancora finiti. Tra debiti, scandali e illusioni amorose, David dovrà ancora combattere per aiutare chi ama e per riuscire a trovare il suo posto nel mondo (e con esso il suo nome). Ci riuscirà attraverso la scrittura e il racconto di tutte le avversità che ha dovuto affrontare dal giorno della sua nascita.

Il film

Scozzese di origini italiane, il comico, sceneggiatore e regista Armando Iannucci già creatore della pluripremiata serie HBO Veep e regista del surreale e irriverente Morto Stalin, se ne fa un altro sembra far valere il suo Master of Arts a Oxford nel regalarci un grande Dickens moderno e multietnico che non si può non amare.

Iannucci riesce a portare sullo schermo l’impagabile tocco ironico di Dickens, troppo spesso trascurato in molti adattamenti cinematografici delle sue opere, senza perdere di vista la valenza politica delle sue storie. La Londra di Dickens, e di Iannucci qui, è piena di poveri che dormono in strada e di bambini sfruttati nelle fabbriche della rivoluzione industriale. Dickens ce la racconta, e Iannucci ce la mostra, ma lo fa attraverso le avventure dei suoi personaggi eccessivi e sopra le righe, un campionario di tipi umani a cui l’impareggiabile gusto del genio inglese per la scelta dei nomi ha regalato un posto d’onore nel nostro immaginario, che è molto difficile trasporre sullo schermo senza incappare nel rischio di trasformarli in macchiette. Iannucci ci riesce meravigliosamente e ci regala un bell’incontro con i protagonisti che abbiamo amato e detestato leggendo il capolavoro di Charles Dickens, Peggotty, Micawber, la zia Betsey Trotwood, Mr. Dick, Agnes, Uriah Heep, Steerforth e ovviamente David Copperfield, qui interpretato dall’attore britannico di origini indiane Dev Patel.

La scelta non deve stupire, Iannucci affida molti dei personaggi ad attori di diversa origine, quasi un rimando alla vastità del fu impero britannico, sottolineando l’universalità della storia senza tempo di un ragazzo che una infanzia ingenerosa non è riuscita a incattivire e che supera tutti gli ostacoli posti dalla vita sul suo cammino senza perdere il suo buon cuore. Così David Copperfield è indiano, Agnes è nera e il signor Wickfield cinese. L’intero cast, tutto inglese, è uno dei punti di forza del film, da apprezzare ancora meglio nella versione originale per non perdere certi squisiti giochi di parole che nella traduzione rischiano di perdere efficacia e certe sfumature nel parlato di personaggi come il signor Micawber, qui interpretato da un ottimo Peter Capaldi.

La parola appare fondamentale per Armando Iannucci e questo gioca a suo favore nella riuscita dell’adattamento di una pietra miliare della letteratura inglese. La forma si fa contenuto. David ricorda frasi, imita il linguaggio di tutti quelli che nel bene e nel male hanno segnato il suo cammino, elabora la sua vita e la trasforma in scrittura. Questa è la storia di un ragazzo vista attraverso la sua forza immaginativa, resa meravigliosamente da alcune brillanti intuizioni registiche che aprono mondi in cui noi spettatori veniamo improvvisamente catapultati. Va sottolineato qui lo splendido lavoro della scenografa Cristina Casali che riesce a costruire ambientazioni suggestive e quasi fantastiche come la casa-barca dei Peggotty tra i pescatori di Yarmouth. La vita straordinaria di David Copperfield è un racconto che si fa e si disfa. Le frasi del romanzo scorrono sullo schermo mentre vengono elaborate da David e persino certi personaggi compaiono e scompaiono dalla scena seguendo la volontà di colui che scrive.

Proprio in riferimento a quest’ultima scelta (di cui non si dirà altro nonostante non abbia molto senso in questo caso parlare di spoiler) è importante sottolineare che, come sembra inevitabile in una trasposizione cinematografica di due ore di un testo di mille pagine, il film modifica e in alcuni casi sacrifica parti del romanzo. Ma questo non lo allontana affatto dallo spirito originale del capolavoro di Charles Dickens che questo film, perfettamente godibile anche da chi non ha mai letto il romanzo, assorbe e rimanda regalandoci quella sensazione di familiarità che si prova nel rivedere un vecchio amico dopo molti anni. Così si sorride di fronte alle guanciotte di Peggotty, all’ossessione della zia Betsey per gli asini, al catastrofismo della signora Gummidge, alla cialtroneria di Micawber, si sorride nell’incontro con questi strani personaggi dell’universo dickensiano, con i loro tic, i gesti e le smorfie che li definiscono.

Charles Dickens è stato spesso criticato per la sua incapacità di scavare a fondo nella psicologia dei personaggi e di mantenersi sempre sulla superficie delle cose. Henry James affermò che Dickens fu “il più grande dei romanzieri superficiali”. Si potrebbe fare la stessa critica al film di Iannucci, di essere solo un catalogo di strani personaggi e di buffe avventure, ma anche qui c’è altro.  Virginia Woolf, che pure fu sempre molto critica nei confronti del suo conterraneo, scrisse in un articolo: «Quando ascoltiamo Micawber protendersi e avventurarsi di continuo in qualche nuovo volo di stupefacente immaginazione scrutiamo, all’insaputa del signor Micawber, nelle profondità della sua anima. Ci troviamo a dire, come fa lo stesso Dickens, mentre Micawber pontifica: “Proprio degno di Micawber!” Perché preoccuparci, dunque, se le scene nelle quali ci aspettiamo emozioni e psicologia ci deludono completamente? Sottigliezza e complessità sono presenti, se sappiamo dove cercarle, se sappiamo rinunciare a volerle trovare – almeno secondo noi, che abbiamo differenti convinzioni in tali questioni – nei luoghi sbagliati». Nel film di Iannucci troviamo “sottigliezza e complessità” negli occhi dei tanti personaggi che lo popolano, nel sorriso ingenuo e aperto di David, nel tormento di Steerforth, nell’espressione benevola e smarrita del signor Dick e nello sguardo speranzoso di Micawber, per la cui creazione Dickens si ispirò a suo padre.

Per concludere, La vita straordinaria di David Copperfield è una rilettura intelligente del romanzo che diverte (e molto) ma che non rinuncia a lanciare un messaggio di giustizia sociale, che sarebbe stato caro all’autore del libro, e di ottimismo e fratellanza attraverso la straordinaria naturalezza con cui Iannucci inventa legami famigliari tra persone di chiara differente origine, una scelta che non appare affatto forzata né provocatoria ma sembra piuttosto un auspicio a superare finalmente certi confini, materiali e ideologici ormai anacronistici, dietro ai quali in molti ancora si trincerano ostinandosi a negare la realtà di un mondo che già è.

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