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Leggere “Canto di Natale” a Natale

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Andrebbe somministrato a tutti come una cura, un tanto al dì o tutto insieme, ché tanto è breve. Bisognerebbe leggerlo ai bambini la sera, al posto delle favole coi principi e le principesse evisserofeliciecontenti. Dovremmo regalarlo ai nostri parenti al posto dei guanti di lana o del set bagnoschiuma più crema idratante/dopobarba/profumo al muschio bianco. Si potrebbe anche azzardare un momento di lettura condivisa intorno al camino, prima di cominciare a sfilarci i soldi a Mercante in fiera. Perché ogni periodo dell’anno è buono per leggere (o rileggere) Canto di Natale, ma a Natale è meglio.

Ne sono stati tratti decine di adattamenti cinematografici e televisivi, lo scorbutico protagonista ha ispirato la creazione di un numero indefinito di “cattivi” che alla fine si redimono, in racconti edificanti di atmosfera natalizia. La storia raccontata in Canto di Natale (A Christmas Carol) è talmente nota che è difficile credere che esista al mondo (quantomeno nel mondo occidentale) qualcuno che non la conosca o non ne abbia almeno sentito parlare.

Ma se dovesse esistere al mondo (quantomeno nel mondo occidentale) qualcuno che non la conosca o non ne abbia almeno sentito parlare, ecco la storia.

Canto di Natale: la lunga notte di Ebenezer Scrooge

Natale, 1843, Londra. Ebenezer Scrooge è un vecchio arcigno e avido che ha fatto dell’accumulazione di denaro la sua ragione di vita. È talmente avaro che non spende un soldo neppure per se stesso, si veste senza cura e nel freddo inverno londinese si riscalda (si fa per dire) con un tenue fuocherello per non consumare carbone. È il titolare della ditta Scrooge & Marley (dal nome del suo defunto socio in affari), alle sue dipendenze lavora nel gelido ufficio un umile impiegato, Bob Cratchit, la cui devozione Scrooge ricompensa con parole astiose e uno stipendio da fame. Non è sposato e non ha figli, ha un solo nipote, Fred, che si dimostra sempre gentile con il vecchio zio, nonostante venga ricambiato con gesti freddi e infastiditi.

Per Scrooge il Natale è una festa inutile, una perdita di tempo e di guadagno, non si possono concludere affari e per di più bisogna pagare ai propri impiegati un giorno di ferie. Per non parlare dei cantori che girano per le strade, sfidando il gelo, porta a porta, elargendo benedizioni, o dei gentiluomini che raccolgono fondi per gli ospizi dei poveri facendo leva sui buoni sentimenti che il Natale dovrebbe suscitare in ogni persona. Ogni persona, tranne il vecchio Scrooge. A lui non si augura un “lieto Natale” se non si vuole ricevere un righello in fronte. Così, alla vigilia di Natale del 1843, mentre tutti si apprestano a festeggiare, i più ricchi con una cena preparata da cinquanta cuochi e i più poveri con un semplice arrosto, Scrooge, declinando un invito del nipote, dopo aver dato un’ultima controllata al suo conto in banca, se ne torna a casa.

E qui riceve una visita inaspettata: il fantasma del suo vecchio socio in affari Jacob Marley, morto da sette anni. Il vecchio Marley racconta a Scrooge della propria amara condizione di anima errante che non trova pace nella morte, per non aver saputo fare del bene durante la sua vita terrena, impegnato come era ad accumulare denari insieme al socio, senza curarsi degli altri. Marley comunica a Scrooge  che riceverà la visita di tre spiriti, grazie a loro, forse, Scrooge potrà evitare di fare la sua stessa fine.

Nel corso di una sola notte, la notte di Natale, Scrooge riceve la visita dei tre spiriti,  il fantasma dei Natali passati, il fantasma dei Natali presenti e il fantasma dei Natali futuri. I tre spettri lo portano a viaggiare nel tempo e nello spazio. Scrooge si rivede bambino, solo e non amato, si rivede, cresciuto, dire addio alla fidanzata, che lo lascia perché comincia a vedere in lui i semi di quell’avarizia che lo divorerà.

Insieme al fantasma dei Natali presenti, Scrooge può vedere come le altre persone stanno passando il Natale, suo nipote Fred, l’impiegato Bob Cratchit con la sua famiglia numerosa e povera ma felice, nonostante il figlioletto storpio. E poi la gente comune, i minatori, i marinai, i guardiani di un faro, tutti, a modo loro, festeggiano il Natale augurandosi a vicenda ogni bene.

Infine, il fantasma dei Natali futuri rivela a Scrooge il destino che lo aspetta, se non cambia il suo atteggiamento nei confronti degli altri e della vita. Una morte silenziosa e solitaria, le persone in città si compiacciono della morte di quel vecchio avaro che tutti odiavano e qualcuno gli svaligia persino la casa. La famiglia Cratchit intanto si stringe intorno al ricordo del piccolo Tim, morto prematuramente perché il padre sottopagato presso la ditta Scrooge & Marley non poteva permettersi di pagargli le cure necessarie.

La mattina di Natale, Scrooge si sveglia come un uomo nuovo. Si riconcilia con se stesso e con gli altri. La sua prima azione è quella di far recapitare un enorme tacchino a casa di Bob Cratchit e di alzargli lo stipendio. Scrooge si prenderà cura del piccolo Tim e diventerà un uomo molto amato dai suoi concittadini. La sua redenzione è totale e completa.

Storia di un capolavoro

Canto di Natale
La prima edizione di A Christams Carol del 1843 con le illustrazioni di John Leech

Uscito proprio nel periodo natalizio del 1843 in una edizione in velluto rosso e bordi dorati con le illustrazioni di John Leech, alla vigilia Canto di Natale aveva già venduto 6000 copie. La storia di Ebenezer Scrooge che decide di scegliere il bene è un successo letterario. La sua potenza evocativa è contagiosa. Pare che dopo aver letto il libro in molti si siano affrettati a comprare un tacchino per i più poveri. Robert Luis Stevenson confidò a un amico di aver “pianto come un bambino” e di aver subito sentito il desiderio di uscire “per fare del bene a qualcuno”.

Ma Canto di Natale non è solo un racconto edificante, Canto di Natale è un capolavoro letterario. Nelle atmosfere descritte da Dickens si sente molto l’influenza del romanzo gotico. La Londra che descrive è una città fredda, avvolta nella nebbia, fatta di vicoli e di botteghe, abitata da gente povera e cenciosa che si scalda al fuoco improvvisato di un braciere. La descrizione della casa dove abita Scrooge è un piccolo gioiello: “… una buia infilata di camere in un grande edificio cadente, così evidentemente spaesato in fondo a un vicolo che era difficile impedirsi di immaginare che da giovane fosse corso lì, giocando a nascondarella con altre case, e non avesse più trovato la via per andarsene.” Persino le case prendono vita nei romanzi di Dickens e si mettono a giocare “a nascondarella”.

Dickens ha portato la Londra povera nei salotti borghesi della società vittoriana, sollevando questioni di rilevanza sociale come lo sfruttamento del lavoro minorile, lui che da bambino, a causa dei problemi finanziari del padre, più volte imprigionato per debiti, era stato costretto a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe per dieci ore al giorno. L’umiliazione e l’ingiustizia subite da bambino non l’hanno mai abbandonato e si ritrovano ovunque nella sua opera, in particolare nel suo romanzo più grande, David Copperfield, il più autobiografico dei suoi libri. Questo, ma anche, ovviamente, Oliver Twist, sono la prova di come Dickens sappia raccontare l’infanzia come pochi altri.

L’attenzione a certi temi di ingiustizia sociale, la disparità tra poveri e ricchi è evidente anche in Canto di Natale, dove il sindaco della città si fa preparare la cena da cinquanta cuochi e la numerosa famiglia Cratchit si deve accontentare di un’oca ripiena. Ma dal racconto di Dickens non emerge rabbia, bensì speranza. Non fa propaganda, ci racconta una favola. Dickens fa appello ai buoni sentimenti degli uomini e sembra esserci in lui una solida fiducia nell’essere umano. Se non fosse così, non potrebbe raccontare una storia come quella di Scrooge rendendola il capolavoro eterno e universale che in effetti è.

Dickens crede nel Natale e nel messaggio che veicola, al di là di ogni fede religiosa. È lui stesso a lasciar  dire a Fred che della sua sacra origine “si può non tener conto”.  Il giorno di Natale è “… un giorno di allegria, di bontà, di gentilezza, di indulgenza, di carità, l’unico momento nel lungo corso dell’anno nel quale uomini e donne sembrano disposti ad aprire liberamente il proprio cuore, disposti a pensare ai loro inferiori non come a creature di un’altra specie destinate a un altro cammino, ma come a compagni di viaggio, del medesimo viaggio verso la morte.” È anche per queste parole che in Inghilterra si parla di Dickens come dell’uomo che ha inventato il Natale. Perché se il 25 dicembre è una ricorrenza di ben più antica origine, lo spirito natalizio, inteso come lo intende Fred, lo abbiamo ereditato da Charles Dickens e da Canto di Natale.

Certo, nei suoi libri c’è troppo sentimentalismo, e sì, è piuttosto melodrammatico, ma lo stile di Dickens è uno dei più grandi doni che la letteratura ci abbia dato. Il suo gusto nell’inventare i nomi è impareggiabile, Ebenezer Scrooge, Martin Chuzzlewit, Clara Peggotty, Wilkins Micawber, Pip, tutti nomi improbabili di personaggi non realistici, ma vivi. Come scrive Mario Praz “qualcosa di più vivo della vita, profili schizzati con rapido e sicuro segno che soltanto un giudizio malevolo può chiamare caricature”.

Anche le storie che racconta sono poco realistiche, perché finiscono bene, i cattivi vengono sconfitti (o si redimono) e i buoni vincono. Nel frattempo ti ha fatto fare la conoscenza di una galleria di personaggi indimenticabili, leggere dialoghi memorabili, visitare i vicoli più nascosti della città e, magari, è riuscito anche a farti riscoprire la parte migliore di te, senza complessi di inferiorità, perché non ci sono eroi tra i personaggi di Dickens, solo gente straordinariamente comune.

La verità è, per dirla con Borges, “che leggere qualche pagina di Dickens, rassegnarsi a certe sue cattive abitudini, al suo sentimentalismo e ai suoi personaggi melodrammatici significa trovare un amico per tutta la vita”.

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