Eventi“Appia. Self-portrait”, il mito dell’Appia nella fotografia d’autore

“Appia. Self-portrait”, il mito dell’Appia nella fotografia d’autore

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Oggi sono stato alla Ninfa Egeria, poi alle Terme di Caracalla e sulla via Appia a vedere le tombe ruinate e quella meglio conservata di Cecilia Metella, che da un giusto concetto della solidità dell’arte muraria. Questi uomini lavoravano per l’eternità ed avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che son venuti dopo ed innanzi ai quali tutto doveva cedere. Come ardentemente ho desiderato oggi che tu fossi qui! Gli avanzi dei grandi acquedotti lasciano un’impressione enorme. Che scopo nobile e bello quello di donare a tutto un popolo l’acqua, ed in una forma prodigiosa! Siamo passati davanti al Colosseo che già annottava. Quando si son vedute tante cose sembra di nuovo piccolo, eppure è così grande che l’anima non ne può contenere l’immagine. Si ricorda più piccolo, si torna indietro a guardarlo e si trova più grande della prima volta.” J.W. Goethe “Viaggio in Italia”

“Appia-Self Portrait”

Ritornano alla mente le parole di J. W. Goethe ammirando l’ultimo dei gioielli restaurati lungo l’antica via Appia Antica, il Casale di Santa Maria Nova che ha aperto le porte al pubblico con la mostra fotografica “Appia. Self-portrait”, a cura di Rita Paris, di cui Electa pubblica un bellissimo Catalogo. L’esposizione, oltre a illustrare la storia del sito di Santa Maria Nova, intende essere un omaggio a quella che è da sempre considerata, anche nelle arti visive, la regina viarum.

Foto storiche, molte delle quali provenienti dagli archivi Fratelli Alinari e dell’Istituto Luce, si alternano a istantanee di rinomati fotografi del Novecento (da Elliott Erwitt a Milton Gendel, da Pasquale De Antonis a Federico Patellani) e contemporanei, (da Ferdinando Scianna a Elina Brotherus), in un continuo e virtuoso dialogo. Luogo di seduzione, l’Appia infatti non ha smesso nel tempo di attrarre visitatori, curiosi, artisti, personaggi del cinema e dello spettacolo, richiamati dal fascino del paesaggio, dalla presenza suggestiva di imponenti monumenti e dal mito della strada stessa, metafora, con il territorio che attraversa, di tante contraddizioni e testimone di parte delle vicende storiche e urbanistiche di Roma.

Il restauro del Casale di Santa Maria Nova-sottolinea Rita Paris Direttore del Parco Archeologico Appia Antica, curatrice della Mostra, cui hanno contribuito Nunzio Giustozzi, Bartolomeo Mazzotta, Ilaria Sgarbozzasi presenta insieme a una mostra di fotografie autoriali scattate dall’Ottocento a oggi. Le fotografie esposte esprimono tutta la forza della seduzione della via Appia che, più di altri luoghi, ha attratto per il fascino del paesaggio, per la presenza di cospicui monumenti ben conservati e per una storia che è metafora di tante contraddizioni. I documenti dagli archivi storici immortalano l’Appia nel periodo compreso tra la grandiosa opera di ‘ristabilimento’ compiuta da Luigi Canina negli anni 1850-1853, le piantumazioni di Antonio Muñoz negli anni 1909-1913, finalizzate alla cura dell’elemento ‘pittoresco’, e l’aggressione edilizia del Dopoguerra. Negli scatti contemporanei la strada partecipa al racconto biografico o autobiografico dell’autore; si fa paesaggio, cioè natura trasformata in storia; nobilita il messaggio pubblicitario; diventa sublime scenario del cinema e dello spettacolo. Attraverso le opere esposte l’Appia presenta se stessa con l’ambiguità della propria vicenda, le ferite, le contraddizioni, le stravaganze che hanno trovato posto nei luoghi di indescrivibile bellezza. Quella che è stata definita regina viarum, è il centro dei contrasti tra la storia, che continua ad avere un ruolo dominante, il passato recente, che ha definito l’attuale percezione del paesaggio, il presente, che ha ‘tollerato’ il saccheggio del patrimonio archeologico, la trasformazione dei luoghi, l’incuria”.

L’iniziativa segna un tassello importante del riscatto dell’Appia dalle tante offese subite, secondo il percorso tracciato negli ultimi venti anni per il recupero della centralità dei suoi valori e per il pieno godimento pubblico, nel quadro della città moderna. Le ‘anticaglie’ indicate nella mappa del Catasto Alessandrino (1660), non diverse dalle anonime rovine presenti sullo sfondo della foto di Milton Gendel, immagine della mostra, sono oggi di proprietà dello Stato e si presentano alla collettività come un vasto patrimonio di conoscenze, vitale e in continua evoluzione, nel contesto di un paesaggio irripetibile. La via Appia ha rappresentato stimolo, interesse, forte suggestione per pittori, vedutisti, incisori dal Rinascimento ai giorni nostri. Anche il mondo della fotografia, sin dalle sue origini, ha subito il fascino dell’antica Via le cui rappresentazioni, col suo ricco patrimonio monumentale e di vita quotidiana, sono state e sono fonte documentale per raccolte, fondi e archivi di istituzioni pubbliche e private.

Il materiale esposto è stato, soprattutto, fornito dal Gabinetto Fotografico Nazionale (ICCD), dagli Archivi Alinari, dall’Archivio Storico Luce, dall’Archivio della Società Geografica Italiana e dall’Archivio della British School at Rome. La selezione delle immagini, scattate tra gli ultimi due decenni dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, ha incentrato l’attenzione su due elementi: il paesaggio e i personaggi. L’Appia ritratta è immersa in un paesaggio agricolo oramai quasi del tutto scomparso, perlomeno nel tratto più prossimo alla città, i monumenti si ergono isolati in un ambiente che, libero anche dalle attuali alberature, ha come sfondo la corona dei Colli Albani. Pertanto non stupisce vedere tra i personaggi ritratti contadini, carrettieri, pastori che vivevano quotidianamente questi luoghi, a cui si aggiungono gli archeologi che qui si recavano per motivi di studio e documentazione scientifica. J.H. Parker, Th. Ashby e E.B. van Deman sono gli studiosi di archeologia che hanno immortalato una Via Appia che, rispetto ad oggi, presentava monumenti meglio conservati, bassorilievi, fregi e iscrizioni oggi perdute ed era inserita in un contesto ambientale di carattere agricolo, privo delle recinzioni delle attuali ville private. Certamente non è univoco lo sguardo dei fotografi contemporanei che si posa sulla via Appia in modi diversi, talvolta antitetici.

Sul versante autoriale, l’approccio autobiografico è dominante: spesso l’artista ritrae se stesso nel sublime paesaggio storico, quasi a voler suggerire una dimensione riflessiva o meditativa dell’esperienza. Per molti fotografi il contatto con la regina viarum è soprattutto un momento emozionale. In questi termini, la restituzione dei luoghi è non di rado alterata, gli scenari assumono caratteri onirici, le presenze umane sono limitate, così come il dato di cronaca.  Diversamente, non sono pochi gli scatti di impronta realistica. I fotoreporter registrano, spesso con sincera pietas, le aggressioni subite dall’antica via e dai luoghi a essa connessi, oppure la faticosa convivenza dei monumenti antichi con l’uomo e le sue attività. Il mondo contadino popola le immagini degli anni Quaranta-Sessanta; le prostitute si affacciano negli scatti degli anni Ottanta.

Il faticoso recupero alla fruizione dell’Appia da parte della società civile, conquista degli ultimi venti anni, è alluso nella presenza di sportivi e rilassati avventori della domenica. La fotografia di moda fa della strada un palcoscenico del made in Italy negli anni del boom economico. I servizi fotografici circolano in Europa e negli Stati Uniti, contribuendo all’esportazione di una nuova immagine di Roma, laica e liberale, insistente, per l’ennesima volta nella storia, sul connubio antico-moderno. Infine, le dive e i divi del cinema internazionale, gravitanti negli studios di Cinecittà, affidano all’Appia l’immagine di sé, vestendo i panni di creature malinconiche e riflessive, sedotte dalla sua bellezza. Sin dalla nascita della settima arte, l’Appia Antica è stata utilizzata come ambientazione di film di genere diverso. Se lo sguardo dei primi cineasti si è posato sulla via e i luoghi a essa contigui per opere di tipo storico, dalle intonazioni drammatiche o liriche, il neorealismo del Dopoguerra l’ha mostrata invece come luogo della quotidianità di umili ed emarginati, mentre La commedia all’italiana ha finito con il privilegiare il suo carattere periferico, altro rispetto al centro della città, spazio dei sotterfugi, delle confidenze, dei progetti più ambiziosi. Le ville esclusive, con giardini e piscine, hanno fatto non di rado da scenario alle turbolenze e alle inquietudini della vita borghese del secondo Novecento. I registi degli anni Duemila, portatori di una cultura ibrida e multiculturale, non hanno smesso di guardare all’Appia, manifesto della magnificenza, in gran parte perduta, di Roma e della romanità. Quella magnificenza perduta di Roma affidata ai versi immortali di una tra le più belle poesie di Alfonso Gatto: Amore della vita.

Io vedo i grandi alberi della sera/che innalzano il cielo dei boulevards,/ le carrozze di Roma che alle tombe/dell’Appia antica portano la luna./ Tutto di noi gran tempo ebbe la morte./ Pure, lunga la via fu alla sera/ di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo,/ alle luci sorgenti ai campanili/ ai nomi azzurri delle insegne, il cuore/
mai più risponderà?/ Oh, tra i rami grondanti di case e cielo/il cielo dei boulevards,/ cielo chiaro di rondini!/ O sera umana di noi raccolti/uomini stanchi uomini buoni,/ il nostro dolce parlare/nel mondo senza paura./ Tornerà tornerà,/ un balzo il cuore/
desto/ avrà parole?/ Chiamerà le cose, le luci, i vivi?/ I morti, i vinti, chi li desterà
”?


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