di Tiziana Buccico e Gioele Zisa
Quando l’ultimo martedì dell’anno persiano si va concludendo e si avvicina la notte del mercoledì, le strade e le piazze delle grandi città, così come dei piccoli villaggi, dell’Iran si illuminano del caldo color rosso del fuoco: è la notte del Chahāršanbe-sūrī.
Se chahāršambe significa “mercoledì”, il termine sūr è da intendere come una variante di sorkh (rosso) e dunque come riferimento sia al fuoco che al “colorito roseo”” (sorkhī), indicante buona salute. I preparativi del Chahāršanbe-sūrī iniziano qualche giorno prima dell’ultimo mercoledì dell’anno, quando si raccolgono i cespugli che nel pomeriggio del martedì vengono disposti in fasci di uno, tre, cinque o sette (sempre in numero dispari), distanziati di qualche metro l’uno dall’altro, nel cortile di casa o in una piazza o strada.
Non appena tramonta il sole, questi fasci vengono accesi e, al crepuscolo, uomini, donne e bambini vi saltano sopra, pronunciando la formula: sorkhī-ye to az man, zardī-ye man az to “il tuo rosso a me, il mio giallo a te”.
Durante il salto, le persone acquisirebbero il color rosso del fuoco, simbolo di forza e salute, abbandonando il giallo delle malattie e delle sofferenze. Si ritiene, infatti, che questo rituale renda immuni per un anno intero da malattie e disgrazie. Che il fuoco simboleggi l’annullamento dell’anno trascorso è testimoniato dalla pratica ancora diffusa di gettare sul fuoco un oggetto vecchio di cui ci si vuole disfare.
Nelle ore successive, dopo che tutti i membri della famiglia e gli amici hanno saltato sul fuoco, lo si lascia estinguere. Successivamente le ceneri, cariche simbolicamente della sporcizia invernale dell’anno trascorso, sono seppellite, di solito da una ragazza che non ha ancora raggiunto la pubertà, in campi lontani dalle abitazioni. La ragazza potrà far ritorno a casa solo dopo aver pronunciato la seguente formula: “Chi è?” “Sono io”; “Da dove vieni?” “Da un matrimonio”; “Che cosa porti?” “Buona salute”. Tale pratica rituale sancisce il riconoscimento del passaggio del tempo, dall’inverno alla primavera.
Un rituale di grande importanza è il qāšoq-zanī, “sbattere il cucchiaio”. Dopo i vari “giochi di fuoco” (ātašbāzī), quando il buio della notte è ormai calato, le ragazze e i ragazzi si celano sotto lunghi chādor, attuando un vero e proprio travestimento, e si recano alle porte delle case dei loro vicini, sbattendo un cucchiaio su una ciotola. Il padrone di casa regala loro ājīl (frutta secca), dolcetti o monete. Essi rappresentano i morti, richiamati dall’avvento del nuovo anno, a reclamare quanto spetta loro, in quanto entità ctonie garanti dell’ordine naturale e sociale.
Il fuoco è simbolo di purificazione, di allontanamento del male e di annullamento del vecchio, ma allo stesso tempo di rigenerazione e rinnovamento. Grazie al fuoco gli iraniani si lasciano alle spalle le sofferenze, i sacrifici e le disgrazie che l’anno trascorso ha arrecato loro, proiettandosi verso un auspicato nuovo anno ricco di gioie e fortune.
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