Giornalista culturale e critico letterario, Piero Dorfles deve il suo successo mediatico alla partecipazione come ospite fisso nella trasmissione Per un pugno di libri di Rai Tre.
Per anni responsabile dei servizi culturali del Giornale Radio Rai nonché conduttore della trasmissione Il baco del millennio, con l’ultimo suo libro Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra, Bompiani Editore, in pagine placide e quasi pigre di memoria famigliare, riannoda magistralmente il filo dei ricordi della sua famiglia, negli anni dal 1943 al 1945, nella tenuta di Chiassovezzano, vicino Lajatico, nel volterrano.
I Dörfles sono una delle tante famiglie ebraiche assimilate, intensamente partecipe della vita culturale e civile di Trieste. Giorgio, futuro padre di Piero, si converte al cattolicesimo e sposa Alma, e con lei rimane in città cercando di svolgere il suo lavoro di avvocato. Anche Gillo, con la moglie Lalla, continua la sua vita di viaggi e di incontri, ma si ritira in Toscana, perché le leggi razziali, la cui promulgazione Mussolini sceglie di annunciare proprio a Trieste, impediscono ai Dörfles di svolgere il loro lavoro. Nel 1943, con l’armistizio e l’occupazione militare tedesca, la fuga si fa inevitabile. È da quel momento che la tenuta di Chiassovezzano, nel comune di Lajatico, tra Pisa e Volterra, diventa il rifugio di questa particolare famiglia. L’autore, il cui cognome ha perso la Umlaut durante le vicissitudini narrate nel libro, rievoca quei mesi terribili attraverso il racconto della casa di Chiassovezzano, delle sue stanze piene di storia e di storie, del suo giardino, degli scantinati usati come rifugi antiaerei, della pantera nera raffigurata in un tondo che ne è il simbolo un po’ misterioso: perché ogni cosa, in quel luogo, parla di chi lo ha scelto, abitato e amato.
Chiassovezzano è un libro di descrizioni ariose e di nostalgie soffuse: del paese, del giardino dei lecci, del frantoio, delle stanze, dei quadri che ritraggono gli antenati, di zii e zie e nonni, dei mobili del salotto, della stampa del pellicano, delle cipolline nei vasi di vetro, della gatta Bigina, di quel pigro di Bengala che non sei altro. E di rievocazioni dell’antenato Hirschel Dörfles, del cimitero ebraico di Gorizia, dell’umlaut sulla “o” del cognome che c’era e non c’è più, degli effetti delle leggi antiebraiche e dei certificati di battesimo. L’ansia e i timori sono d’altronde sempre dietro l’angolo, tanto da ritrovarsi i tedeschi, un giorno, inaspettatamente nel granaio. Per Lajatico passa la linea Gotica, cioè la guerra. Nell’estate 1944 gli occupanti chiameranno il paese die kleine Kassino, la piccola Cassino.
Quando Mussolini annunciò la promulgazione delle Leggi Razziali proprio nella loro città, in un primo momento i Dorfles pensarono di poterne uscire indenni: radicati da tempo nell’alta borghesia triestina, erano una famiglia ebraica fortemente assimilata nella società italiana. Ma le loro speranze furono disattese, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi assunsero il controllo de facto di Trieste.
Il volume racconta questa storia mescolando il resoconto storico con i ricordi di famiglia: suo padre Giorgio, sposato con la cattolica Alma, per diverso tempo era rimasto a Trieste dove lavorava come avvocato, salvo poi dover fuggire in cerca di un nascondiglio per non essere trovati dai nazisti. Anche lo zio di Piero, il critico d’arte Gillo Dorfles, dovette ritirarsi in Toscana quando le cose iniziarono a mettersi male per gli ebrei.
Nei primi capitoli, l’autore racconta varie storie famigliari dei Dorfles, ebrei goriziani spostatisi poi a Trieste. La loro identità era assai rappresentativa degli ebrei italiani prima del 1938: fortemente integrati nel tessuto sociale del loro paese, poliglotti come molti triestini, quasi non si sentivano ebrei, e di fatto riscoprirono le proprie radici quando vennero bollati come diversi dagli “ariani”. Al punto che, nei primi tempi, alcuni di loro cercarono senza successo di dimostrare alle autorità fasciste di avere origini ariane più che ebraiche.
Sono presenti vari brani in corsivo ad indicare gli scambi epistolari tra i personaggi della vicenda, dei quali Piero Dorfles ha ritrovato diverse lettere e documenti, oltre ad una descrizione accurata della villa dove si rifugiarono. Una testimonianza storica importante, che riporta uno spicchio di vita sotto un periodo buio e incerto, dove però non sono mancati il coraggio e la temerarietà per sopravvivere.
La tenuta di Chiassovezzano, nel comune di Lajatico, tra Pisa e Volterra, diventa così non solo un rifugio ma anche il luogo dove il temperamento straordinario dei membri della famiglia si concentra e si manifesta. Per questo oggi Piero Dorfles sceglie di rievocare quei mesi terribili, non mancando di precisare “Ma nessun eroismo in famiglia. Sconsideratezza. Una buona dose d’incoscienza. Il termine che mi sembra più adatto è quello di temerarietà”.
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