Quel connubio carne-morte che non ti aspetti è interpretato senza ombre banali in Napoli Velata, il film, ultimo intenso thriller di Ferzan Ozpetek.
Dedicato a Napoli ma non è per i napoletani
In Napoli Velata ritroviamo la perfetta narrazione artistica propria di Ferzan Ozpetek, con quel senso sublime per i dettagli, per le espressioni, per le meticolose suggestioni.
Napoli di per sé ha un fascino magnetico, vicoli nascosti, miti e leggende che vivono in parallelo ma Ozpetek non forza la mano, anzi, ci regala il suo modo di fare cinema.
Lascia che sia la fotografia a bucare lo schermo e gli occhi di chi guarda a giudicare.
Certamente, per un napoletano, nulla di straordinario è stato introdotto nelle atmosfere che si muovono silenziose dietro i personaggi, eppure, per i non addetti, Napoli viene percepita come una poesia.
Il taglio misterioso, l’energia infallibile dei personaggi. Le fragilità e ambiguità degli stessi che portano a non distinguere più chi è vittima, chi carnefice, chi è reale, chi immaginario. Tra culti, maschere e santini. Nella stanza grottesca di un’indovina. Nella parola “assassina” rivolta alla città.
Sipari che non snaturano la città, che non si approfittano della bellezza per contrapporsi ai film sulla mafia, che lasciano semplicemente vedere, se si riesce a farlo, l’interiorità dell’essere umano.
La storia romantica a lieto fine.
Ozpetek ci risucchia nel film ipnotizzandoci, un sorprendente inizio affidato all’arte: la scala elicoidale di palazzo Mannajuolo, inquadrata seguendo la spirale, fa girare la sala cinematografica e diventa il passaggio segreto per accedere alla storia.
Già dall’incipit si mescolano carne e morte, filo conduttore del thriller, e romanticismo passionale, fil-rouge del drama-psicologico.
L’unica scena senza veli è l’incontro di sesso tra i protagonisti che, lontani dalle volgarità, disegnano l’attrazione fisica di un momento, di uno sguardo, il perdersi, il ritrovarsi, il riconoscersi aggrappandosi a ogni attimo come se fosse il primo ma anche come se fosse l’ultimo.
Una scena lunga e approfonditamente girata, un anello di comprensione per il finale, una fisicità degli amanti che sarebbe un peccato perdere nei tagli televisivi.
L’occhio di Ozpetek
Napoli velata si apre con un occhio simbolico, la scala elicoidale, rappresentativa di un invito a entrare. Poi il delitto, che attenta alla vista, fa tacere l’arte, frena la passione.
Ma un oggetto-feticcio, un occhio apparentemente portafortuna, si riprende il finale e quella cecità viene rimessa magistralmente, dal regista, nelle mani di una donna, perché in fondo i suoi film raccontano di donne. E Napoli Velata non poteva essere diversa.
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