Detroit. Will Spencer (McKay) va, come ogni giorno, a trovare il genitori – la madre Ella (Mirren), malata di cancro ed il padre John (Sutherland), affetto da Alzheimer – e, non trovandoli, chiede notizie alla vicina Lilian (Ivey) e, insieme, scoprono che sono partiti con il camper (il vecchio “Leisure seeker”, cercatore di svago) con il quale anni prima andavano in vacanza. I due anziani, stanchi di un destino da malati e da reclusi, hanno deciso di andare fino a Key West a visitare la casa di Hemingway, del quale John, professore di letteratura, era sempre stato un grande ammiratore. Will, omosessuale che non ha trovato il coraggio di parlare con i genitori e ancora alla ricerca di una sistemazione, è disperato, mentre sua sorella Jane (Moloney), brillante docente di lettere, capisce le ragioni dei genitori e cerca di tranquillizzarlo.
Imboccata la Route 1, i due viaggiatori procedono con qualche contrattempo: lui ha continui sbalzi di memoria (una volta la lascia ad un distributore, costringendola a cercare un passaggio in motocicletta per raggiungerlo) e ogni tanto si fa la pipì addosso, lei ha crisi di dolore lancinanti e, talvolta, perde la pazienza con il marito da sempre distratto ma ora spesso inaffidabile. Una volta che lui ha lasciato il volante per aprire una bottiglietta di Coca Cola, un poliziotto (Robert Walker Branchaud) li insegue, li ferma e, solo grazie alla prontezza di risposta di Elle, non si accorge delle strane risposte di John e li lascia andare. Un’altra volta, fermi con una gomma a terra, vengono aggrediti da due balordi (Sean Michael Webber e Ryan Clay Gwaltney) ed è di nuovo Ella, armata di fucile a salvare la situazione. Ogni sera si fermano in un campeggio e lì lei improvvisa uno schermo con un lenzuolo e, anche per smuovere la sua memoria, guarda con John le vecchie foto di famiglia. John, ogni tanto, le fa una scenata di gelosia accusandola di essere ancora l’amante del fidanzato che lei, da ragazza, aveva lasciato per mettersi con lui; una sera la minaccia anche col fucile (scarico) e lei, esasperata, fa una telefonata e, ottenuto il recapito del suo presunto amante, ce lo porta; è un ospizio e, quando arrivano nella stanza di Dan Coleman (Dick Gregory) – questo è il suo nome – si trovano davanti ad un vecchio nero su di una sedia a rotelle che non riconosce nessuno dei due (Ella ci rimane anche un po’ male). Durante il viaggio – è in corso la campagna presidenziale – si trovano bloccati da un comizio pro-Trump e lui, divertitissimo, partecipa all’entusiasmo del pubblico, subito portato via da Ella che gli ricorda che lui ha sempre votato Democratico. Una sera lui è particolarmente svanito e nel camper la chiama Lilian e le si raccomanda di non far capire alla moglie – che incinta di Jane – che loro sono amanti, perché, dice, lui ama Ella disperatamente. Lei si infuria, chiama un taxi e lo fa portare “nel più schifoso ospizio della città” e qui lo lascia, salvo poi andarlo a riprendere qualche ora dopo, trovandolo tranquillo che gioca con un libro pop-up. A Key West li attende una delusione: la casa di Hemingway è piena di turisti cafoni e vi è in corso una festa di matrimonio. John, vedendo gli invitati che ballano si unisce a loro mentre Ella ha un malore e viene portata d’urgenza in ospedale. Lui, non trovandola, riesce nel panico a trovare la lucidità necessaria per raggiungerla nella clinica nella quale è stata ricoverata e, dopo aver avuto dal primario (Geoffrey D. Williams) un quadro devastante delle condizioni di salute di Ella, la raggiunge in camera e, insieme, fuggono dall’ospedale. Tornati nel camper, un’imprevista erezione fa loro fare del tenero sesso e lei, dopo avergli dato le gocce per dormire e averle prese a sua volta, lascia entrare nel camper chiuso il gas di scarico, lasciando una lettera di addio ai figli. Questi capiranno benissimo le ragioni del gesto.
L’umano è capitale
Contrariamente agli altri film di Virzì, questo è stato accolto un po’ freddamente dagli addetti ai lavori (a Venezia, dove era in concorso, ha avuto grandi applausi in sala ma critiche freddine se non addirittura, dagli americani Variety e TheHollywood Reporter, negative), che lo hanno considerato banale, scontato e non all’altezza dei suoi ultimi apprezzatissimi Il capitale umano e La pazza gioia. In realtà è un ottimo film; certo ci sono stati road movie (Cinque pezzi facili, Easy Rider) più importanti ma Ella & John- tratto da un romanzo del neo-minimalista (ammesso che si dica così) Michael Zadoorian The Leisure Seeker (in Italia In viaggio contromano) – è un dichiarato omaggio al genere, nato negli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70, come le due canzoni che accompagnano l’inizio (It’s too late di Carole King) del viaggio e i titoli di coda (Me and Bobby McGhee di Janis Joplin) sottolineano. E’ anche vero che la sceneggiatura, per la quale a Virzì e ai soliti Archibugi e Piccolo, si affianca l’autore del romanzo dal quale era tratto Il capitale umano, Stephen Amidon, ha vistosi rallentamenti narrativi e, oltretutto, la scelta di non rispettare il romanzo, che aveva come meta finale Disneyland e non Key West, appare un po’ provincialotta (“la cultura, signora mia!”) ma la preziosità del film è tutta nella recitazione degli immensi Sutherland e Mirren e, va detto, nella capacità del regista di mettersi, apparentemente, da parte e lasciar condurre il film e le sue emozioni ai due veri mostri sacri. E’ inevitabilmente scontata la sequenza della campagna elettorale ma qui ci viene risparmiato il peggior difetto di Virzì: lui è, probabilmente, l’autore italiano che più si è avvicinato ai grandi maestri del passato (Monicelli e Comencini in particolare) ma i suoi film – quasi sempre godibilissimi – sono spesso appesantiti da predicatorie lezioncine etico-sociali (basta pensare al notevole Ferie d’Agosto, una commedia per più aspetti paragonabile alla nostra grande stagione ma deviata dal forzoso assunto che gli italiani siano profondamente divisi dalle convinzioni politiche). Ellas & John non è perfetto (già di per sé, peraltro, la mancata presenza della Bruni Tedeschi gli dà un bel respiro) ma è una notevole prova d’attori e, grazie anche alla notevole fotografia di Luca Bigazzi , con una regia che sa approfittarne per tirar fuori il “capitale umano” e momenti di empatia e commozione che non ci capita spesso di trovare nel nostro cinema.
Film di Paolo Virzì. Con Helen Mirren, Donald Sutherland, Christian McKay, Janel Moloney, Dana Ivey Italia, Francia 2017
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