Viene definito dai suoi stessi autori come “il primo videogioco a teatro” e in effetti, It’s App to You, visto in scena lo scorso 3 settembre a Civita Castellana in occasione del Civitafestival 2021, un vero gioco lo è.
La trama di It’s App to You: tra Agatha Christie e Tomb Raider
Luigi (Leonardo Manzan), uno spettatore inconsapevole scelto a caso dalla platea, che si professa solipsista e crede che il mondo intero sia un parto della sua immaginazione, viene chiamato a risolvere il caso della misteriosa morte di 46 (Cristina Cappelli, in sostituzione di Paola Giannini), una giovane donna apparentemente vittima di un omicidio che si è risvegliata nei panni di un avatar (molto somigliante a Lara Croft) e che per uscire dal gioco è costretta a trovare e a uccidere a sua volta il proprio assassino.
Luigi, che da questo momento in poi verrà chiamato semplicemente 47, attraverso l’applicazione It’s App to You dovrà aiutare 46 a trovare gli indizi per risolvere il caso, come in un giallo di Agatha Christie (solo che qui ci sono maggiordomi senza mani, conigli parlanti e altri elementi improbabili che fanno dell’intreccio una storia apparentemente senza né capo né coda).
A guidare le mosse dell’avatar e del giocatore c’è l’algoritmo di It’s App to You (con le sembianze di Andrea Delfino), l’onnipotente, colui che tutto sa e tutto prevede. È lui a scegliere chi vince e chi perde, è lui a decretare la fine del gioco. Un gioco che in realtà non finisce mai, perché la catena degli eventi predisposti dall’algoritmo porterà lo stesso 47, una volta risolto il caso, a diventare lui stesso l’avatar, in attesa di un altro giocatore che lo liberi.
It’s App to You: giovani autori crescono
Nato da un’idea dell’enfant prodige Leonardo Manzan che ne cura anche la regia, It’s App to You precede i due spettacoli con cui il giovane regista romano di nascita e milanese di adozione, cresciuto nella fucina di talenti creata da Antonio Latella durante la sua direzione della Biennale Teatro, si è imposto al pubblico, ovvero Cirano deve morire, con cui nel 2018 vinse il bando Registi Under 30 della Biennale College, e soprattutto Glory Wall, che gli valse lo scorso anno il premio come Miglior Spettacolo proprio alla Biennale Teatro.
Ma già in It’s App to You, spettacolo che segna il suo debutto, vincitore di diversi premi tra il 2016 e il 2018, si possono rintracciare molti degli elementi che caratterizzano il suo modo di fare teatro. Innanzitutto il coinvolgimento del pubblico, già nei primi minuti, con la distribuzione all’entrata di un foglietto illustrativo del gioco e di una matita con cui gli spettatori sono invitati a disegnare il proprio avatar. A coinvolgere immediatamente il pubblico nel gioco è la stessa introduzione del personaggio di Luigi, spettatore tra gli spettatori, scelto a caso (si fa per dire) dall’avatar nella platea. Una modalità di introduzione non inedita, ma efficace per mettere subito in chiaro che qui il teatro è una questione collettiva, partecipata, in uno scambio continuo tra attori e pubblico tanto caro al regista.
L’arrivo di 47 dalla platea e il suo rivolgersi direttamente agli spettatori mettendoli a parte della sua versione dei fatti, ovvero che l’intera messa in scena e loro stessi non sono che una sua proiezione, non è solo un momento di teatro nel teatro ma serve, a livello drammaturgico, a introdurre il grande tema dello spettacolo: ovvero qual è il limite tra la realtà e il gioco? Cosa è vero e cosa non lo è? Manzan è molto bravo a tessere questa tela, con una attenzione non scontata ai dettagli. Come quando, ricevendo una telefonata sul palco da parte della fidanzata gelosa, il pubblico può ascoltare davvero la voce di una donna arrabbiata dall’altra parte: qualcuno gli sta effettivamente parlando. Piccoli mattoncini che servono a creare una credibile realtà alternativa.
L’ironia è un altro degli elementi distintivi del Leonardo Manzan drammaturgo e regista, in It’s App to You meno corrosiva che in Glory Wall ma comunque presente, che regala momenti davvero divertenti e che fa dei suoi spettacoli qualcosa di cui si può godere senza preoccuparsi di scadere nella banalità. Che ne sia consapevole o no, Manzan tocca temi filosofici importanti e cruciali come quello della verità della realtà. Quando dice al pubblico che essi esistono solo quando lui li guarda il rimando alla meccanica quantistica, per chi ne conosce anche superficialmente i principi, è immediato. Viene in mente il Principio di indeterminazione di Heisenberg e il Paradosso del gatto di Schrödinger, capisaldi della fisica contemporanea che hanno animato il dibattito filosofico degli ultimi decenni, minando le nostre certezze su ciò che è reale e ciò che non lo è.
In questo senso i videogiochi sembrano terreno privilegiato per parlare del limite sottile tra realtà e finzione. Basti pensare ai tanti suicidi di giovani talmente immersi nella dimensione del gioco da inseguirne persino le diramazioni più estreme. Ma il discorso oggi è valido per tutti, appassionati di videogiochi o no: sono gli algoritmi a guidare molte delle nostre scelte (più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere) e non è un caso che in It’s App to You Andrea Delfino/Algoritmo sia vestito con un completo bianco come un padreterno, perché lui è effettivamente Dio.
Non sappiamo se Manzan abbia voluto consapevolmente toccare certi argomenti, o se si sia semplicemente “limitato” a mettere in scena l’individualismo sfrenato di un gamer che forse gli somiglia, quel che è certo è che si tratta di un autore e regista da tenere d’occhio. E allora non resta che aspettare il debutto romano del suo nuovo progetto Echo-Chamber, liberamente ispirato a L’ultimo nastro di Krapp di Beckett, previsto per il 19 ottobre prossimo al Teatro Vascello di Roma.
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