La Danza di Degas non è il solo lato distintivo dell’artista. Lo sarebbe se non ci fossero tanti lati del suo carattere che hanno fatto disintegrare il potere del suo sguardo.
In questo articolo non parlo del misogino e antisemita Degas. Piuttosto di quel suo lato fragile legato alla danza e alle ballerine. Allo scorrere del tempo che sgretola ogni linea e allo scorrere delle dita sulla tela, nella corposità delle tempere, che invece il tempo lo fermano.
C’è qualcosa di davvero corrosivo nelle sue opere, non soltanto per quel loro insito e fiabesco sfumarsi, ma anche e soprattutto perché sul finire della sua storia artistica l’autore copiava ormai, solo dalla memoria, da ciò che gli era rimasto in testa. La realtà visiva non gli apparteneva più.
Degas perse a poco a poco la vista e lo stato in cui versava, aggrappato ai ricordi, gli fece compiere appunto il passaggio più caratteristico del suo tracciabile operato, quell’imprendibile dileguarsi dei paesaggi, dei caratteri e delle trame che persero gradualmente di lucidità.
Lui che, invece, era un maniaco della vita moderna, dei suoi retroscena e segreti, e che per ironizzare, ad esempio, sugli artifici della stessa, era solito dipingere un innaffiatoio. Sì, un innaffiatoio. Un oggetto del tutto estraneo alla scena, però speculare a una persona o a un gesto.
Si può pensarlo come a un leitmotiv su cui Degas gravitava per smascherare la finzione, dare in pasto al pubblico la sua verità. Così è in Ballerine alla sbarra, dove l’innaffiatoio copia esattamente le linee e la postura del violinista; così è in Lezione di Danza, dove invece assurge alla posizione del maestro Jules Perrot, al centro della scena con un bastone in mano.
In questo quadro c’è, però, un elemento superiore, che rapisce gli occhi, più del leitmotiv: quel mosso, poco definito delle garze, dei passi. Che non sono da attribuire alla successiva cecità ma allo sguardo istantaneo del pittore che dipinge esattamente l’attimo a cui ha assistito. In questo caso è la fine di una lezione, quindi traccia, infallibile, il mormorio di fondo, il riposo distratto dei corpi, l’abbandono delle posture.
Sia l’innafiatoio che l’istantaneità sono elementi rappresentativi delle opere di Danza di Degas, finalizzati a raccontare -senza preamboli- la società in cui vive e, di cui, si prende gioco.
Una delle rappresentazioni più intime di questo filone è rappresentata da Prove di Danza, un’opera magistrale, nata come incisione e trasformata in una trama pittorica. Morbida e dura allo stesso modo. Morbida per la tonalità diffusa di una luce ovattata. Dura per il ritmo con cui imprime all’anatomia dei corpi uno specifico movimento, smorfia, rilassata estraneità.
Degas vedeva nella danza un’inestimabile eredità greca: quella leggiadria di sottovesti, quella bellezza di movenze. Eppure si discostava poi dal suo immaginario. Le ballerine, allora, divenivano pungenti, tutt’altro che farfalle, colte nei momenti più disparati, necessariamente reali, almeno tanto quanto i contorni e i dettagli indelicatamente voluti.
Personalmente mi piace la Danza di Degas, mi piace il suo modo di dare in pasto all’osservatore ciò che evidentemente gli brucia dentro, una fiamma viva, un dissapore, una contestazione. Mi piace che la danza sia centrale più della pittura stessa.
Della stessa Autrice:
Billy Elliot il Musical La danza al cinema Claude Monet
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