Made in Italy: trama
Riko (Accorsi), operaio in una fabbrica di insaccati in Emilia, è in crisi: il suo rapporto con Sara (Smutniak), che gestisce con l’amica Angela (Alessia Giuliani) un negozio di parrucchiera, sta andando a rotoli (lui le mette da sempre la corna e ha capito che anche lei ha un altro); il figlio Pietro (Tobia De Angelis) sta per terminare gli studi al Dams (sarebbe il primo laureato della sua famiglia) ma, oltre a realizzare divertenti clip con parenti ed amici, l’attuale crisi non sembra consentirgli un qualche futuro; il lavoro di insaccare mortadelle, che fa da trent’anni, non lo esalta certo e, inoltre, l’azienda sta licenziando molti suoi colleghi, tra i quali il suo amico Rebecchi (Francesco Colella) che la prende malissimo; suo padre (Giuseppe Gaiani), affetto da demenza senile, è ricoverato in un istituto e quando lui lo va a trovare o non lo riconosce o gli chiede ossessivamente se “va a figa”; lui rischia, per ragioni economiche, di perdere la casa che il nonno e il padre avevano messo su con sacrificio; la situazione del Paese, infine, gli manifesta l’inutilità dei sogni e delle lotte che aveva vissuto da giovane.
Si ritrova un po’ solo con gli amici: il pittore Carnevale (Sciarappa), l’amico del cuore con gravi problemi di ludopatia, il collega Max (Leonardi) e Matteo (Dini), con i quali condivide partite a scopa, sbronze, spinelli, notti brave in discoteca e scazzottate. Riko, Carnevale e Max decidono di passare un giorno a Roma e, all’alba, vedono un corteo di dimostranti per l’art. 18 e, con loro, caricano la polizia. Riko prende una manganellata e finisce in ospedale; qui lo raggiunge Sara, che gli porta biancheria pulita; dimesso quasi subito, viene intervistato da un giornalista televisivo che cerca di farlo apparire un eroe della contestazione ma lui ribatte di aver avuto solo motivi personali nell’aggredire i poliziotti.
Un giorno lui e Sara vanno a pranzo dal suo collega indiano Pavak (Jefferson Jeyaseelan) e si incantano nel vedere l’armonia di quella famiglia povera ma vivacissima; a fine pranzo lei si commuove al ricordo del loro secondo figlio, morto alla nascita e, al ritorno, confessa a Riko di essere stata, in un momento di particolare solitudine, a letto con Carnevale. Lui fa una scenata, va sotto la casa dell’amico, con una mazza gli sfonda la macchina, poi gli dà duemila euro per aiutarlo coi debiti di gioco e lo abbraccia. Tornato a casa, dopo un aspro chiarimento, lui e Sara fanno l’amore e, poco dopo, sono al centro di una scherzosa cerimonia nuziale, presenti tutti gli amici, officiata da Patrizio (Gianluca Gobbi), l’amico gay, da sempre bersaglio di affettuosi sfottò.
Pochi giorni dopo, Carnevale si uccide e Riko, disperato, aggredisce un collega (Ettore Nicoletti) che fa un commento sulla vita dissipata del morto, rompendogli il naso. Quel gesto accelera il suo licenziamento e Riko, dopo vari inutili colloqui per trovare un nuovo lavoro, cade – come il Rebecchi gli aveva prognosticato – in una tremenda depressione, sconvolgendo anche la vita di Sara, fino a tentare il suicidio, gettandosi nel Po. Tornato a casa, fradicio ma vivo, fa l’amore – dopo mesi – con Sara e trova la forza di ricominciare la vita a Francoforte.
Una clip di un’ora e ¾
Nel 1983 uscì il saggio dello psicoterapeuta Dan Kiley La sindrome di Peter Pan – Uomini che hanno paura di crescere e, da allora, gli eterni bambinoni immortalati da Fellini ne I vitelloni sono diventati, soprattutto in America (ma il recente After the storm del giapponese Hirokazu ne è un altro esempio) un vero genere cinematografico: oltre ai 3 Una notte da leoni, campioni mondiali di incasso, c’è il Frat Pack, un gruppo di attori (Owen e Luke Wilson, Ben Stiller, Jack Black, Steve Carell e Vince Vaughn) che, oltre a condividerne lo stile di vita, ha dato vita a vari film sul bamboccionismo (2 single a nozze, L’isola delle coppie tra i più noti). Ligabue sin dal fulminante esordio con Radiofreccia ne ha dato una sua versione, più politica, più generazionale, più intrisa di tragedia e, soprattutto, più emiliana. Il successivo Da uno a dieci, però, era già un po’ di maniera e questo, girato a 15 anni di distanza, è retto solo dalla capacità di Accorsi (che dopo Veloce come il vento ha trovato una matura profondità attoriale). Per il resto più che un film sembra essere una lunga videoclip dei brani dell’album omonimo che fanno da colonna del film: Mi chiamano tutti Riko, E’ venerdì, non mi rompete i coglioni, Dottoresa, Ho fatto in tempo ad avere un futuro, Un’altra realtà, G come giungla, Non ho che te e il brano del titolo – diciamo sommessamente: una sorta di aggiornamento rock del vecchio Tre sorelle di Claudio Villa (“Roma, Napoli e Firenze/ son tre sorelle/…tutte e tre ugualmente belle). Non certo un film riuscito ma la simpatia emiliana che lo permea aiuta a vederlo con una punta di allegra malinconia.
Film di Luciano Ligabue. Con Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Maria Sciarappa, Walter Leonardi, Filippo Dini Italia 2018
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