Si potrebbe definirlo romanzo di formazione o Bildungsroman “Perduti nei Quartieri Spagnoli” di Heddi Goodrich, pubblicato di recente da Giunti Editore? In parte, forse, sì, considerando che il romanzo di formazione è un genere letterario riguardante l’evoluzione del protagonista verso la maturazione e l’età adulta, nonché la sua origine storica. In passato lo scopo del romanzo di formazione era quello di promuovere l’integrazione sociale del protagonista, mentre oggi è quello di raccontarne emozioni, sentimenti, progetti, azioni viste nel loro nascere dall’interno.
Questo romanzo, scritto in un italiano letterario di rara bellezza, tanto più sorprendente considerando che l’autrice è di madrelingua inglese, è una doppia storia d’amore: per una città e per un giovane uomo. Ci sono Heddi Goodrich e Eddi. Le loro storie si sovrappongono, ma non sono la stessa persona. Heddi ha 47 anni, scrittrice al suo esordio editoriale, risiede a Auckland, Nuova Zelanda, con il marito e i figli. Eddi è un’universitaria americana che vive nei Quartieri Spagnoli di Napoli. È lei la protagonista del romanzo che Heddi Goodrich, nata a Washington nel 1971, ha scritto direttamente in un italiano padroneggiato con grande consapevolezza. C’è soltanto quella H che gli italiani non pronunciano a fare da filtro tra l’autrice e la protagonista di “Perduti nei Quartieri Spagnoli”. Heddi è una ragazza americana a Napoli, ma non una delle tante. Studentessa di glottologia all’Istituto Universitario Orientale, non è venuta per un rapido giro nel folclore, ma per un’immersione che la porta ad avere della città, della lingua, del dialetto una conoscenza profonda, impressionante, che nasce dall’empatia, da un bisogno di radicamento e dall’entusiasmo della giovinezza.
Con una colorata tribù di studenti fuorisede e fuoricorso Heddi vive ai Quartieri Spagnoli, dove la vita nelle case antiche costa poco, si abita su piani pericolanti che sembrano calpestarsi l’un l’altro, in fuga dalla folla e dai vicoli inestricabili, costruzioni affastellate che sbucano aprendosi sul cielo e sul vulcano, in balconi e terrazzi dove è bello affacciarsi a rabbrividire, fumare e discutere. Pietro è studente di geologia, figlio di una famiglia contadina della provincia di Avellino, gente avvinta alla terra da un legame ostinato, arcaico. Come in tutte le storie d’amore, l’intesa vola tra i due nei primi mesi, sospinta dalla passione, dalla bellezza, poi cominciano a manifestarsi le differenze: lei ingenua e generosa, dalla grande onestà intellettuale, lui tendente alla cupezza, poco chiaro. Dunque, sarà lei a capire che sulla coppia grava un macigno: Lidia, la madre di Pietro, che vuole il figlio tutto per sé, da far sposare con una ragazza del luogo secondo uno schema esistenziale che va avanti da secoli. Ne scaturisce una lotta interiore del giovane, il cui esito è svelato nel libro solo alla fine.
A Napoli, benché il suo paese sia distante solo cento chilometri, Pietro è straniero tanto quanto Heddi. Il coinvolgimento sentimentale non vela però lo sguardo della narratrice, che considera con sguardo affettuoso ma lucido la personalità di Pietro, al tempo stesso sognatore e velleitario, diviso tra l’emancipazione rappresentata dall’amore per una ragazza così lontana dal suo mondo e il richiamo agli obblighi ancestrali della terra. Anche il ritratto della madre di lui, apparentemente fragile e depressa, in realtà custode feroce dell’ordine familiare, è di spietata esattezza. L’amore che intride queste pagine è quindi istintivo e intellettuale, complicato e semplice. È amore per le parole che compongono una vera e propria lingua del cuore, accarezzata, piegata e scolpita con una sensibilità sempre vigile. È il romanzo di quando la vita è una continua scoperta, esplorazione dell’identità altrui e ricerca della propria, di quando la scrittura incarna un atteggiamento verso il mondo pronto ad aprirsi a ogni esperienza, a godere ogni gioia, a esporsi a ogni ferita.
Un caso letterario (in larga parte, la storia autobiografica di un grande amore) arrivato sul tavolo del direttore editoriale di Giunti, Antonio Franchini, napoletano, scrittore, scopritore di talenti, che ha entusiasmato la Buchmesse di Francoforte dove è stato venduto in molti Paesi. Del capoluogo partenopeo la scrittrice ha provato a descriverne i diversi aspetti, soprattutto quelli umani. Una città che vive di contraddizioni, meravigliosa e maledetta. Con un popolo ricco di amore e passione, sentimenti che l’hanno accompagnata fin dal primo giorno vissuto a Napoli. Il libro, “Perduti nei Quartieri Spagnoli “, fugge da qualsiasi stereotipo o elemento di folklore che spesso accompagna le descrizioni della città. Il romanzo va oltre e cerca di narrare la vera Napoli con gli occhi di chi è venuto da un altro paese ma ci ha vissuto e non ha potuto fare a meno di innamorarsene.
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