Un affare di famiglia – Trama
Film di Kore’eda Hirokazu. Con Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi Giappone 2018
Osamu Shibata (Franky) è in un supermercato con il dodicenne Shota (Kairi) il quale ad un suo cenno, dopo aver fatto rapidi gesti scaramantici, ruba un po’ di merce. Tornando a casa vedono un bambina (Miyu Sazaki) affacciata nel freddo della notte ad un balconcino, chiaramente affamata. La portano nella loro misera casa – dove vivono con la moglie di Osamu, Nobuyo (Ando), nonna Hatsue (Kiki) e la di lei nipote Aki (Matsuoka) – e la rifocillano. Osama vorrebbe che la bambina rimanesse da loro (ha anche notato che ha lividi e tagli sulle braccine) ma Nobuyo lo convince e riportarla a casa per evitare guai; mentre la stanno per rimettere, addormentata, nel balcone, sentono i lamenti della madre della piccola, Nozomi Hojo (Moemi Katayama) picchiata dal marito Yasu (Yuki Yamada) e decidono di tenerla con loro.
Gli Shibata sono una famiglia borderline e misteriosa: Osamu alterna lavori saltuari con taccheggi insieme a Shota (che non riesce a chiamarlo papà), Nobuyo lavora in una stireria, Aki guadagna qualcosa facendo intravedere le tette e il sedere attraverso un vetro in una casa specializzata e, di fatto, tutti vivono della pensione della nonna; quando, poi, i servizi sociali fanno un controllo nella casa, tutti spariscono, tranne quest’ultima. Inizialmente Shota è geloso della piccola che loro chiamano Yuri ma Osamu la convince a considerarla una sorellina e a portarla con sé nei taccheggi; e così anche lei, fiera di lavorare con il “fratello” grande, impara a rubare ed a compiere il piccolo rituale.
La televisione dà, parecchie settimane dopo, la notizia della scomparsa della bimba e del fatto che i genitori non ne avevano denunciato la scomparsa; questo tranquillizza gli Shibata, ignari che di lì a poco – a causa della necessità di ridurre il personale della stireria – sarà quel servizio a causare, indirettamente, la perdita del lavoro per Osamu; questo però non altera l’umore dei due coniugi che, anzi, rimasti in casa, possono fare finalmente l’amore. Aki, intanto, si è innamorata di un giovane cliente (Sosuke Ikematsu) e la nonna la difende dalle frecciatine degli altri “parenti”. Hatsue va ogni tanto a trovare il figlio (Naoto Ogata) di secondo letto del marito defunto e sua moglie (Yoko Moriguchi), che sono convinti che la loro Aki stia studiando in Australia e alla fine della visita le danno – come d’abitudine – una busta con dei soldi, che lei in parte spende per giocare al pachinko; un giorno lei muore e gli Shibata, per continuare a godere della sua pensione, la seppelliscono in giardino.
I due ragazzi continuano coi furtarelli, finché un giorno il vecchio proprietario (Akira Emoto) di un negozietto, accortosi delle loro manovre, dà loro delle gelatine di frutta e dice a Shota di non insegnare alla sorellina a rubare. Lui è colpito da quelle parole e in un grande magazzino, quando vede Yuri fare il rituale, ruba rumorosamente della merce per farsi inseguire e, raggiunto, si butta da un cavalcavia, rompendosi una gamba. In ospedale gli Shibata trovano la polizia e con una scusa frettolosa vanno via ma, quando stanno per scappare dalla casa vengono raggiunti e fermati. I due poliziotti ( Kengo Kora e Chirizu Ikewaki) che si occupano del caso, scoprono due cadaveri nel giardino (oltre alla nonna c’è anche il corpo del suo ex-marito, ucciso per legittima difesa dagli Shibata), riportano Yuri dai genitori – che riprenderanno a maltrattarla – e mandano Shota in una casa-famiglia. Nobuyo, che – a differenza del marito – è incensurata, si accusa di tutto e subisce una condanna a cinque anni; Osamu passa un ultima giornata con Shota e, per una volta, si sentiranno padre e figlio.
Brutti, sporchi e (in fondo) buoni
Kore’eda Hirokazu è stato spesso associato al grande Ozu e, certamente, la sua attenzione per i ritratti di famiglia lo accostano all’autore dei, peraltro irraggiungibili, Viaggio a Tokyo o Tardo autunno ma il paragone si ferma qua: le famiglie di Ozu sono, in quanto tali, portatrici di grandi valori e di terribili sofferenze, Hirokazu, invece, si sofferma sulla presenza o assenza di affettività. In questo film, come in Father and son, Little sister e Ritratto di famiglia con tempesta, ci si riconosce in un nucleo familiare se si è amati, a prescindere dai legami di sangue; in realtà, il film del regista che più richiama questo è l’aspro Nessuno sa (una sorta di Ladybird, Ladybird giapponese) ma qui si avvertono gli echi della commedia italiana della decadenza e, soprattutto, di Brutti, sporchi e cattivi di Scola ma i suoi personaggi sono meno brutti (i bambini, anzi, bellissimi), meno sporchi (al massimo la nonna si taglia le unghie dei piedi mentre cena con gli altri) e molto, molto meno cattivi. Forse non è il film più riuscito del regista (ha comunque vinto la Palma d’Oro a Cannes) anche se la parte finale è di una intensità profonda e coinvolgente ma ha, come sempre, un cast di prim’ordine – dal suo habituè Lily Franky, alla bravissima Kirin Kiki (già indimenticabile signora Toku) fino ai sorprendenti bambini. Per la prima volta Hirokazu ha come direttore della fotografia il celebrato Kondo Ryuto ma, onestamente, la differenza con i suoi consueti Mikiya Takimoto e Yutaka Yamizaki non mi sembra si colga particolarmente. C’è, comunque, l’anima di un grande regista.
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