L’evoluzione dell’immagine femminile nella Storia dell’Arte italiana dal 1870 al 1950 è argomento di una piccola e raffinatissima mostra “Verso la modernità. Presenze femminili nella collezione d’arte della Banca d’Italia”, a cura di Ilaria Sgarbozza e Anna Villari, visitabile sino al 10 marzo p.v. nella sede fiorentina della Banca d’Italia, nello storico palazzo di Via dell’Oriuolo, edificato in stile neorinascimentale su progetto di Antonio Cipolla tra il 1865 e il 1869, periodo in cui Firenze fu capitale d’Italia.
L’iniziativa si propone di far conoscere al pubblico un importante nucleo di opere della Banca, consolidando ulteriormente il percorso di valorizzazione del patrimonio artistico intrapreso dalla Banca, in una prospettiva di responsabilità sociale, nella consapevolezza del valore identitario delle testimonianze d’arte, che rappresentano un volano straordinario per la crescita non solo culturale del
La mostra presenta una rassegna di lavori dall’epoca che segnò l’apertura al pubblico (1871) della nuova Sede della Banca Nazionale in via dell’Oriuolo (dal 1893 Banca d’Italia) per arrivare alla metà del Novecento, consentendo così sia di riflettere sul lungo percorso di emancipazione della donna nelle diverse dimensioni, civili, economiche, culturali e sociali, sia di interrogarsi e discutere sulle sfide ancora aperte. Un tema all’attenzione della Banca d’Italia, che contribuisce attivamente allo studio dei divari di genere nell’attuale mondo del lavoro e delle professioni, a partire dai più bassi tassi di partecipazione femminile e dai divari retributivi, indagandone le cause, le implicazioni sulle prospettive di crescita della nostra economia, i possibili rimedi in un contesto di progressi troppo lenti e parziali.
Attingendo alla collezione della Banca d’Italia, la mostra racconta uno spaccato del momento fondante della cultura italiana che, dopo decenni di lotte risorgimentali, combattute anche attraverso i linguaggi dell’arte, della pittura, della musica, della poesia, vede la nascita del Regno d’Italia, con capitale civile e culturale Firenze. Lo fa seguendo la trasformazione del ritratto femminile tra i primi anni ’70 dell’Ottocento e la metà del Novecento: dalle novità realiste e di resa psicologica della scuola di Giovanni Fattori, passando attraverso le ricerche formali e narrative di giovani artisti formatisi nel clima delle avanguardie, per arrivare ai linguaggi del ritorno all’ordine, di nuove sensibilità espressive, di diversi classicismi.
Ritratti di donne e opere di donne artiste, un’affascinante serie di lavori che raccontano come la donna, abbandonando progressivamente la dimensione domestica e familiare, abbia conquistato con determinazione uno spazio di libertà ove affermare pienamente la propria statura intellettuale.
Da modella, còlta principalmente nella dimensione domestica e familiare, con qualche eco di rassicuranti mondi rurali, la donna emerge progressivamente come protagonista della società borghese o aristocratica fin de siècle, fino a definire un proprio spazio di libertà, consapevole del proprio potere seduttivo ma anche del proprio, nuovo, ruolo sociale e intellettuale.
Nel percorso si propone anche un focus su cinque artiste, le cui opere e le cui biografie-in tre casi strettamente legate a Firenze-delineano bene il modello femminile dell’artista professionista, che solo nel Novecento può esprimersi pienamente. Si tratta delle opere di Marisa Mori, fiorentina,allieva di Felice Casorati e a Firenze frequentatrice della cerchia futurista; di Nella Marchesini, anche lei prediletta di Casorati, frequentatrice a Torino di Piero Gobetti, amica di Natalino Sapegno, Carlo Levi, Federico Chabod, illustratrice apprezzata e presente a Biennali e Quadriennali; di Maryla Lednicka-Szczytt, scultrice polacca in Italia negli anni ’20, tra Firenze e Milano, vicina al gruppo Novecento di Margherita Sarfatti e protetta da Giuseppe Toeplitz, esponente del mondo bancario italiano e internazionale; di Pasquarosa Bertoletti Marcelli, che giunta a Roma appena sedicenne da Anticoli Corrado, divenne pittrice esponendo con successo alle mostre della Secessione, alle Biennali e Quadriennali, conquistando un ruolo di rilievo; di Leonetta Cecchi Pieraccini, allieva di Fattori, moglie di Emilio Cecchi, sorella di Gaetano Pieraccini, primo sindaco di Firenze dopo la Liberazione, al centro di un vitalissimo mondo intellettuale e artistico, che osservò con sensibilità e attenzione, restituendone il fascino tramite l’esercizio della pittura e della scrittura.
All’inizio del percorso espositivo, come omaggio a Firenze e alla donna che più di ogni altra ne rappresenta le radici culturali, si è scelto di esporre alcune edizioni pregiate della Divina Commedia, aperte su tavole raffiguranti Beatrice: figura sì “gentile” e pietosa, ma anche illuminata dalla sapienza e dalla saggezza. E’ inoltre esposto un dipinto del fiorentino Raffaello Sorbi, datato 1863, in cui Beatrice, da musa e comprimaria, conquista un’esemplare centralità visiva e narrativa.
La mostra offre anche l’occasione per visitare gli ambienti della Sede di Firenze della Banca d’Italia normalmente chiusi al pubblico. Attraverso il nobile atrio Donatello, salendo l’elegante rampa della scala elicoidale, è possibile ammirare gli ambienti di rappresentanza del palazzo, i saloni ornati di stucchi, le volte dipinte, gli arredi coevi. L’edificio è esso stesso testimonianza di quel periodo centrale nella storia di Firenze, e dunque dell’Italia, in cui si è definito il concetto di nazione in senso moderno.
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