Il 26 aprile con la finale al Teatro Vascello, inaspettatamente in presenza di pubblico dopo mesi di chiusura dei teatri, si è conclusa la 9° edizione del Roma Fringe Festival, il festival dedicato al Teatro Indipendente.
Il Fringe di Roma è uno degli oltre 240 festival diffusi in tutto il mondo dedicati alle arti performative, nati dall’ormai storico Fringe di Edimburgo che ogni anno attrae nelle vie della capitale scozzese migliaia di turisti, attratti dalla vitalità di una scena unica nel suo genere, che fa della libertà espressiva il suo manifesto fin dalla sua nascita nel 1947.
Libertà d’espressione e indipendenza sono le parole chiave del Roma Fringe Festival che ha presentato, in una stagione teatrale difficile (se non impossibile), fatalmente condizionata dalle misure restrittive imposte dal governo, 21 progetti provenienti da tutta Italia. 21 realtà, tra professionisti e non professionisti, che hanno potuto tornare a vivere il teatro dopo mesi di assenza dalla scena, calcando uno dei palchi più prestigiosi della capitale, il Piccolo Eliseo.
Ascoltando le loro testimonianze, raccolte tra l’11 e il 17 aprile durante la settimana delle recite al Piccolo Eliseo (gli spettacoli sono stati registrati e poi mandati in streaming gratuito dal 18 al 24 sul portale teatro.it), si evidenziano due aspetti che hanno evidentemente segnato maggiormente l’esperienza degli artisti e delle compagnie selezionate. Innanzitutto, la gioia e l’emozione unanimi per il ritorno sulla scena dopo mesi di lontananza e poi, nota dolente, la difficoltà e il dispiacere per l’assenza del pubblico, elemento essenziale del fare teatro.
In questi mesi di streaming, a cui anche il Roma Fringe Festival si è dovuto rivolgere nonostante la rassegna fosse stata inizialmente impostata per essere svolta in presenza (qualcuno ricorderà la promessa del ministro Franceschini di riaprire i teatri il 27 marzo), è risultato probabilmente più chiaro a tutti gli operatori che non può esistere il teatro senza il suo pubblico, che il teatro è “qui e ora” e che pensarlo in un’altra modalità significa in qualche modo negarne la vera essenza, che è ontologicamente “dal vivo”.
Spettatori o no, il Fringe di Roma ha voluto dare un chiaro segnale di resistenza ed è stato premiato dal pubblico con un’ottima media di spettatori streaming e una affollata (seppur nei limiti concessi dalle autorità e in piena sicurezza) serata finale al Teatro Vascello, dove il pubblico ha potuto vedere dal vivo i tre spettacoli finalisti di questa 9° edizione che si sono contesi il premio principale, una tournée nazionale di 12 date. Una finale di sole donne, quattro attrici, tre diverse storie.
A vincerla è stato lo spettacolo Ca/1000, produzione Estudio, proveniente da Napoli. Un monologo scritto da Enrico Manzo (che si è aggiudicato anche il premio come Miglior Drammaturgia) e interpretato dall’attrice Noemi Francesca, che ha portato sulla scena l’inquietudine e la complessa personalità di Camille Claudel, tormentata artista di fine ‘800. Un ritratto d’artista, un progetto in cui l’arte, o meglio le arti, come spiega la regista Luisa Corcione, si uniscono a creare un’opera unica. Un dialogo continuo tra musica, pittura e arti performative che è alla base della ricerca su cui è impegnata questa giovane realtà quasi tutta al femminile.
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