Papparappéro arriva la papessa e Knock Knock, due dei 21 spettacoli visti al Roma Fringe Festival, sono due progetti in cui il lavoro dell’attore viene declinato sui due cardini dell’azione scenica: il corpo e la voce. Due drammaturgie che sviluppano da una parte il potenziale espressivo del corpo e dall’altra la definizione caratteriale del personaggio attraverso le acrobazie dell’intonazione vocale.
Con Papparappéro arriva la papessa Giorgia Mazzucato porta in scena una serie di personaggi (cinque, diametralmente opposti) caratterizzandoli solo con il linguaggio e i colori della voce, senza l’uso di oggetti di scena e restando immobile sul posto per quasi tutta la durata dello spettacolo. Un progetto nato durante la quarantena, come ci ha spiegato l’attrice e autrice alla sua terza esperienza al Fringe di Roma, con cui si è proposta di “indagare i meccanismi dell’ipocrisia”.
I personaggi sono dei tipi umani estremi, iperbolici, di cui la Mazzucato si serve per mostrarci i tanti volti dell’ipocrisia con un registro prevalentemente comico (spassoso il personaggio dell’attrice borghese che ricorda molto da vicino la Rossana, attrice di teatro impegnato, dell’indimenticata Anna Marchesini). Papparappéro arriva la papessa è uno spettacolo che si può definire divertente senza rischiare di depotenziarne la spinta critica che lo anima attraverso un testo che diventa un manifesto contro la discriminazione, tema centrale (emergenza evidente del dibattito contemporaneo), di molti spettacoli visti quest’anno al Roma Fringe Festival.
Puro intrattenimento invece, sullo stile della Hollywood classica, per Knock Knock, della compagnia per metà parigina e per metà italiana Le Comptoir des Arts. Anche qui un solo attore, ma con una performance tutta basata sul movimento corporeo, scandito da una impalcatura di suoni che tessono la drammaturgia dello spettacolo facendo appello all’immaginazione dello spettatore, grazie anche all’uso delle luci, per la costruzione del contesto.
“Un progetto ambizioso” come lo definisce il protagonista Lorenzo Grilli, che si prende sulle spalle uno spettacolo decisamente non facile, in cui la precisione negli appuntamenti con il sonoro è essenziale, in cui non ci sono battute e si hanno a disposizione solo due elementi di scena, una sedia e un giornale, per raccontare una storia. Una maratona, tra corse, salti e tip tap in cui anche la mimica facciale è fondamentale, come in un film muto.
Un progetto giovane, sviluppato in tempi record e allestito, come ci ha rivelato Grilli, in videoconferenza, ma con grandi potenzialità, che può forse trovare un arricchimento ulteriore in un pizzico di Harold Lloyd.
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