Nella vivacità della proposta teatrale offerta quest’anno dal Roma Fringe Festival, Processo a Mastro Titta e Quell’amara Unità sono rivisitazioni di grandi classici. Storie personali e scenari futuristici, tentativi di indagine sul nostro recente passato: l’ottocento italiano. In particolare su un secolo segnato da grandi trasformazioni e decisivo per la storia del nostro paese. Ci riferiamo a quel XIX secolo cominciato all’insegna di Napoleone Bonaparte e segnato dall’Unità d’Italia. Due progetti che offrono spunti di riflessione validi ancora oggi a due secoli di distanza.
Processo a Mastro Titta
La breccia di Porta Pia è ancora lontana e la Roma raccontata in Processo a Mastro Titta è ancora la capitale dello Stato Pontificio. La stessa Roma papalina che fa da sfondo al capolavoro cinematografico di Luigi Magni Nell’anno del Signore, di cui lo spettacolo scritto e diretto da Emanuele Bilotta vuole essere l’ideale prosecuzione.
Siamo nel 1825 e Mastro Titta è il boia di Stato. Nella notte successiva alla storica decapitazione dei carbonari Targhini e Montanari in piazza del Popolo, di ritorno verso il borgo in cui abitava sull’altro lato del Tevere, Mastro Titta viene fermato da due carbonari. Sono i compagni dei giustiziati, decisi a sottoporre il famigerato boia al processo del popolo.
Verità storica e finzione si intrecciano in questo spettacolo che vuole gettare luce su una figura sfuggente e di difficile comprensione come quella di Mastro Titta. Esecutore materiale di centinaia (oltre 500) di condanne a morte. Un’attività che cominciò a diciassette anni e terminò da anziano nel 1864, quando l’allora Papa Pio IX gli concesse la pensione.
Quasi settanta anni di impiccagioni, decapitazioni e squartamenti. Eseguiti apparentemente senza battere ciglio, meritandosi così quella figura di “romano pacioso”, che gli è stata ritagliata da Garinei e Giovannini in Rugantino. Un personaggio con il quale viene ancora identificato dal grande pubblico.
Una figura, quella di Mastro Titta ed un’epoca, quella della Roma papalina, che meriterebbero ulteriori indagini. Come ci ha detto il regista nella breve videointervista che riportiamo: “c’è ancora molto da raccontare”. Un momento storico fondamentale, quello degli anni ’20 dell’800, segnato dalla nascita di quelle tensioni e di quei movimenti che sono alla base del Risorgimento italiano.
Quell’amara Unità
Se Processo a Mastro Titta si rifà all’ambiente di una Italia preunitaria, è proprio sull’Unità d’Italia e sui decisivi passaggi che ne segnarono la realizzazione che si sofferma il secondo spettacolo di cui parliamo in questo approfondimento. Quell’amara Unità, della compagnia campana Assoteatro, racconta l’Unità d’Italia “dal punto di vista di chi l’ha subita: il Sud”. Uno spettacolo in costume che mette in scena una storia d’amore sullo sfondo della lotta tra i Borbone e i Savoia, Garibaldi e i briganti.
Una vicenda che appartiene ormai ai libri di storia. A cui si guarda come a un evento lontano, infarcito di retorica romantica, e su cui i fatti del ‘900 hanno contribuito poi a depositare uno spesso strato di polvere. Eppure è proprio a quegli eventi che bisogna guardare per provare a capire il nodo, non ancora sciolto, dei rapporti tra Nord e Sud.
La realizzazione dell’Unità non ha certo portato automaticamente alla nascita di una identità nazionale. Le differenze, socioeconomiche e culturali, tra le regioni d’Italia da secoli divise in diversi Stati, non scomparvero magicamente con la proclamazione del Regno d’Italia.
Ancora oggi ci facciamo i conti. Per alcuni, evidentemente, l’Unità è stata più amara che per altri. Capirne le ragioni è un dovere.
Quel che è certo è che il Sud, con spettacoli a volte più e a volte meno efficaci, in questa edizione del Roma Fringe Festival ha dimostrato comunque di avere molte cose da dire. Esprimendo la chiara volontà di affermare la propria identità culturale, con la sua storia e con la sua lingua. Si prefigura quasi una questione meridionale del teatro.
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