È nei cinema italiani, distribuito da Searchlight, The French Dispatch, l’ultimo lavoro di Wes Anderson, già presentato a Cannes 74. Un film antologico che celebra il giornalismo d’altri tempi e omaggia uno dei periodici più iconici pubblicato negli Stati Uniti dal 1925, lo storico New Yorker, il settimanale che con il suo stile inconfondibile ha rappresentato una sorta di educazione sentimentale per il regista texano. Con The French Dispatch, Wes Anderson paga (con tanto di elenco di nomi nei titoli di coda) un simbolico tributo ai suoi creatori.
The French Dispatch, la storia dell’inserto settimanale del Liberty, Kansas Evening Sun
Arthur Howitzer Jr (Bill Murray), fondatore e direttore del The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun muore improvvisamente sulla scrivania del proprio ufficio. Per molti anni, dalla redazione situata nella piccola cittadina (immaginaria) di Ennui-sur-Blasé, il The French Dispatch ha offerto ai suoi lettori americani uno spaccato di vita e di cultura francesi, attraverso reportage firmati da alcune delle penne più importanti in circolazione.
Per volontà del suo direttore, che aveva stabilito non si dovesse più pubblicare dopo la sua dipartita, il The French Dispatch si prepara ora a dare alle stampe l’ultimo, fantastico numero, in cui vengono riunite quattro storiche firme di punta, autori di altrettanti, fondamentali esempi di impareggiabile giornalismo.
Il reporter di ciclismo
Il primo dei quattro articoli di chiusura è firmato da Herbsaint Sazerac (Owen Wilson) e vuole raccontare i ritmi, le caratteristiche e l’evoluzione dello stile di vita negli anni a Ennui-sur-Blasé. Un giro in bicicletta tra anziani, malfattori, topi e peripatetiche, con cui Sazerac ricostruisce l’ideale toponomastica della cittadina francese, mostrando quanto poco, in fondo, siano cambiate nel tempo le abitudini dei suoi abitanti.
Il capolavoro nel cemento
Il secondo articolo è scritto da J. K. L. Berensen (Tilda Swinton) e racconta la fulminea ascesa nel panorama culturale mondiale di Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), un assassino psicopatico che durante la sua lunga prigionia scoprì di avere eccezionali doti artistiche e trovò inaspettatamente in uno degli agenti penitenziari (Léa Seydoux) la propria musa e amante. A rivelare al mondo il grande genio dell’arte astratta fu Julien Cadazio (Adrien Brody), mercante d’arte che lo conobbe in prigione mentre scontava una breve pena per evasione fiscale.
Revisioni a un manifesto
Il manifesto è quello dei giovani studenti arrabbiati che nelle strade di Ennui diedero vita a quella che passò alla storia come “la rivoluzione della scacchiera”. A seguire l’intera vicenda come corrispondente è la giornalista Lucinda Krementz (Frances McDormand). Combattuta tra il mantenimento dell’integrità giornalistica e l’attaccamento alla causa degli studenti, la Krementz si lascia coinvolgere negli eventi, intraprendendo prima una relazione con il giovane leader delle proteste Zeffirelli (Timothée Chalamet) e impegnandosi poi a fare quelle revisioni al manifesto che danno il titolo all’articolo.
La sala da pranzo privata del commissario di polizia
Il quarto e ultimo articolo è firmato da Roebuck Wright (Jeffrey Wright). Chiamato a recensire una cena preparata dal famoso poliziotto-chef Nescaffier (Stephen Park), il giornalista finisce coinvolto nelle vicende legate al rapimento del figlio del commissario di polizia (Mathieu Amalric), Gigi. La caccia ai sequestratori finirà in un inseguimento al cardiopalma per le strette vie di Ennui-sur-Blasé.
The French Dispatch, un film sul giornalismo che è un omaggio alla Francia
Attraverso i quattro episodi il regista texano rende il suo personale omaggio alla Francia, (Anderson vive a Parigi da diversi anni) ripercorrendo alcuni fondamentali momenti della sua storia contemporanea.
Un omaggio al paese e allo stesso tempo, verrebbe da dire ‘ovviamente’, un omaggio alla sua cinematografia, ben riconoscibile soprattutto nell’ultimo episodio che rimanda alle atmosfere noir dei polizieschi di Melville.
Proprio l’ultimo episodio è forse quello meno centrato (anche se esteticamente splendido), in cui Anderson ha voluto inserire diversi ingredienti, per utilizzare una metafora attinente al tema dell’episodio, che alla fine però non si amalgamano e lasciano la sensazione di aver assaporato un piatto troppo elaborato, dal sapore indefinito.
Ci sono le atmosfere noir alla Melville, la questione culinaria e l’omaggio alla cucina francese con il nome del tenente chef Nescaffier che è un chiaro rimando al grande Auguste Escoffier, una toccata sull’omosessualità, sequenze animate, e momenti di estetica televisiva anni ’70. Un eccesso di visione, e di contenuti, che alla fine risulta stancante.
Molto più inquadrato il terzo episodio, dal sapore novuellevaguiano, che è tra l’altro quello che più si sofferma a indagare sul tema centrale del film: il giornalismo e i giornalisti. Anderson dipinge con la solita leggerezza le rivolte studentesche del maggio francese condensando metaforicamente gli scontri con la polizia in una partita a scacchi su pubblica piazza, edulcorandoli.
A Anderson non interessa il conflitto. Chiama il capo degli agitatori Zeffirelli come il conservatore, borghese regista che meno rivoluzionario non si può, perché probabilmente a quel 1968 di rivolte preferisce il 1968 di Romeo e Giulietta (non a caso la compagna di lotte del giovane agitatore si chiama Juliette).
“Andate a fare l’amore”, consiglia loro la giornalista Lucinda Krementz (la sempre perfetta Frances McDormand) che segue gli eventi sul campo come un’inviata di guerra. Il suo modello è quello di Mavis Gallant, storica firma del The New Yorker sul cui resoconto delle rivolte parigine dal titolo The Events in May: A Paris Notebook, Wes Anderson si è ispirato per la scrittura di questo terzo episodio.
Un film, poco malinconico, su qualcosa che non c’è più
Un giornalismo, uno stile narrativo e un’etica “che non sacrifica nessuno” nel modo di condurre un giornale di cui Wes Anderson decreta la fine, materializzandola nella morte del direttore e fondatore del The French Dispatch Arthur Howitzer Jr.
L’ultimo film di Wes Anderson, dietro la sua estetica ordinata e zuccherina nasconde una cerimonia funebre. A questa però sembra mancare un certo sapore malinconico che non avrebbe guastato e che nessuno meglio di Bill Murray avrebbe potuto regalare al film.
Ma Anderson tira dritto (si fa per dire). Non a caso uno degli slogan del direttore Howitzer Jr è “non si piange nel mio ufficio”. Una dichiarazione di intenti dietro cui si legge la volontà del regista di non indugiare nella nostalgia per quanto stiamo perdendo (o abbiamo già perso), ma di celebrarne la bellezza.
La bellezza che è in un certo tipo di scrittura, a cui la sceneggiatura del film vuole chiaramente rendere omaggio, ma anche nel fascino, a volte decadente, degli anni in cui Parigi era il centro del mondo. Perché Ennui-sur-Blasé è in parte Parigi e in parte provincia.
Nel secondo episodio, il migliore dei quattro, si percepisce l’atmosfera eccitante di una città viva, imprevedibile e un po’ folle che negli anni ’20 del Novecento richiama artisti e intellettuali da tutto il mondo.
E nell’anziana collezionista Upshur Clampette (Lois Smith) non è difficile intravedere la Peggy Guggheneim mecenate e amica dei più grandi artisti, in una compenetrazione di piani temporali che struttura tutto il film.
Il film più ambizioso di Wes Anderson
The French Dispatch è senza dubbio un film molto complesso.
Lo stile registico inconfondibile di Wes Anderson, quello delle inquadrature frontali, delle carrellate laterali, dei quadri perfettamente composti in una perfetta armonia di colori pastello c’è tutto e c’è anche qualcosa di più. Si passa continuamente dal bianco e nero al colore e viceversa, c’è un largo uso dei Tableau vivant e c’è un cast ipertrofico.
Oltre ai nomi che abbiamo già citato, compaiono tra gli altri in The French Dispatch (a volte anche in piccoli cameo): Edward Norton, Willem Dafoe, Liev Schreiber, Christoph Waltz, Elisabeth Moss, Jason Schwartzman (anche co-autore del soggetto), Saoirse Ronan, Bob Balaban, Henry Winkler e Cécile de France. (A questi va aggiunta Anjelica Huston, sua è la voce narrante nella versione originale.)
Robert Yeoman, storico DOP di Anderson regala una fotografia che è probabilmente il suo capolavoro, soprattutto nelle parti in bianco e nero.
The French Dispatch è forse il film esteticamente più ambizioso di Wes Anderson e non può che essere una straordinaria avventura visiva, già esplicitata in una delle prime scene in cui il regista cita platealmente il Mon oncle di Jacques Tati. Un incastro che è quasi un esercizio mentale. Probabilmente, per elaborare la grande quantità di materiale che il suo autore ci ha messo dentro, avrebbe necessitato di una mezz’ora in più.
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